Bollettino del Natale / Il mio cuore è un organo sparso

Le vacanze di Natale hanno molti lati positivi, senz’altro. A me però paiono un po’ subdole. Voglio dire, ad Agosto quando ci sono le vacanze estive tutti pensano ad andare da qualche parte a godersi il solleone. Durante le vacanze di Natale invece fa freddo, la gioia più grande è quella di stare rintanato in un cantuccio confortevole e circondarsi di persone care. E fin qui, nulla di strano. Il lato infido del Natale è però quello che, a forza di pranzi e cene con famiglia e amici, capita di ritrovarsi a pensare alle cose importanti della vita, e ai legami che ci uniscono alle altre persone.

Dico infido perché, negli ultimi giorni, mi sono ritrovata a pensarci anche io, a tutte le persone a cui voglio bene, e ai pensieri ha cominciato a intrecciarsi la nostalgia, e volevo darmi dei gran colpi in testa. Spesso ho pensato, anzi, credo fermamente che ognuno abbia delle cose indissolubilmente legate alla propria anima. Anima, cuore, cervello, quello che volete, se non credete di avere un anima. Comunque, la mia è la nostalgia. Sono una persona tendenzialmente allegra, anche se non troppo spensierata. Però, in ogni momento della mia vita, ripenso con nostalgia a momenti del passato. Non che il presente non vada bene, o che creda che il futuro non possa rivelarsi ancor meglio. E’ solo che ci sono stati momenti della mia vita che mi hanno riempito così tanto il cuore, da sentire la mancanza di quella felicità, seppure temporanea. 

E, ovviamente, ognuno di quei momenti è legato ad una persona, o a più persone tutte insieme. Perché, anche se pesa ammetterlo, parte della nostra felicità dipende dagli altri. Beh, parte della mia senz’altro. E così, da anni, semino pezzi del mio cuore nel tempo e nello spazio. Ogni tanto qualche pezzo di quel cuore batte più di altri, e arriva la nostalgia. L’importante, credo, sia non perderne nessuno. Mantenere i ricordi vivi, i pezzi del cuore pulsanti.

Un pezzo del mio cuore è in un giardino nel quartiere turco di Berlino, dove le mie amiche ed io ci siamo fermate a riposarci dopo un pranzo non troppo leggero e due litri di birra, ascoltando Biagio Antonacci sdraiate nell’erba.

Un pezzo del mio cuore è in un tinello di Corso Peschiera 142/3, Torino, e c’è profumo di arrosto e patate al forno, e io e mio fratello battiamo con le forchette sui bicchieri.

Un pezzo del mio cuore è su un gradino di pietra bianca di un paesino dell’entroterra pugliese, è l’alba, e ci si deve salutare.

Un pezzo del mio cuore è nel soggiorno di 96, Old Allesley Road, c’è una chitarra che suona e delle lasagne vegetariane da mangiare.

Un pezzo del mio cuore è in un diner della Route 1, in Florida, una signora cicciona cucina i pancakes e noi siamo grassi e felici.

Un pezzo del mio cuore è all’estremità sud-occidentale dell’Europa, qualcuno ha paura di guardare di sotto, c’è un sacco di vento e fa un freddo cane, non ci fermiamo nemmeno per il tramonto, ma siamo insieme.

Un pezzo del mio cuore è in un lettino singolo a guardare Apocalypse Now cercando di non addormentarmi.

Un pezzo del mio cuore è all’Imbarchino, la primavera del primo anno di università, quando su quella bicicletta nuova potevo conquistare il mondo.

Un pezzo del mio cuore è in un cortile di un locale di San Salvario, quando ci sedevamo su quelle sedie rosse ai tavoli arancioni a bere un bicchiere di vino.

Un pezzo del mio cuore è sui gradini di una piazzetta con una chiesa, e un primo bacio.

Un pezzo del mio cuore è sul ponte di Brooklyn, alla fine dell’uragano.

Un pezzo del mio cuore è a Madrid, quando ci guardiamo negli occhi e ci diciamo: “I never wanna leave this bed”.

Un pezzo del mio cuore è su una panchina del parco di Dublino, dopo 3 giorni è finalmente spuntato il sole, è il giorno di San Valentino e accanto a me c’è una nuova amica.

Un pezzo del mio cuore è a Verona, al teatro romano con un panino appena fatto e una birra ad ascoltare “Sister” unplugged.

Un pezzo del mio cuore è in una Panda blu che gira per la Francia, dai finestrini abbassati esce il fumo di una sigaretta rollata e tre ragazze un po’ matte urlano: YOU’RE FROM THE 70s BUT I’M A 90s BITCH

Un pezzo del mio cuore è nel letto di un’amica, lontano, a guardare un film turco con i sottotitoli in inglese, piangendo come bambine.

Un pezzo del mio cuore è in un campo delle West Midlands, è una domenica di sole, e camminiamo nel fango, ma a me non importa.

Un pezzo del mio cuore è a Trastevere, davanti al San Calisto, a bere Amaro del Capo.

Un pezzo del mio cuore è in quelle cucine del campus, a cucinare schifezze per tutti, bere birra, cantare, e avere una famiglia di amici.

Un pezzo del mio cuore è tra i banchi del Liceo Alfieri, quando, anche se non lo sapevamo ancora, stavamo diventando amiche per sempre.

Un pezzo del mio cuore è in un bar del Marais dove per fortuna il vino costa relativamente poco e parliamo della vita, io e te soltanto ci capiamo così.

Un pezzo del mio cuore è in via Cassisi 49, quello scorcio di mare di Celle Ligure dal balcone del secondo piano, casa.

 

Sì. Il mio cuore è un organo sparso. Per fortuna ci sono quei quattro scapestrati con cui vivo che lo tengono insieme.

 

Buon Natale, a tutti voi che vi siete tenuti un pezzo di me.

 

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Bollettino da Real Time / i 7 programmi allucinanti che non riesci a smettere di guardare

Al canale 31 della TV digitale, o 124 per chi ha il decoder SKY, si è guadagnato un posto, da un po’ di tempo a questa parte, il canale Real Time. Spesso e volentieri, guardando i programmi trasmessi dal suddetto canale, mi sono chiesta PERCHE’. Tutte le altre e numerose domande che mi sono posta sono più lunghe, ma la prima, immediata reazione è “PERCHE'”. Perché non riesco a smettere di guardare anche se quello che sto vedendo è ributtante? Sono giunta alla conclusione che probabilmente mandano dei messaggi subliminali via onde non udibili, che ti impediscono di cambiare canale o spegnere immediatamente la televisione. Perché non è possibile che esistano menti così stranamente deviate da ideare certe sceneggiature e cervelli così vuoti da voler essere riempiti di schifezze rivoltanti.

Ma andiamo con ordine, perché ogni programma è diverso, ognuno a suo modo è subdolamente attraente. Vi propongo di seguito una classifica dei X programmi più trash di Real Time, che so che ognuno di voi guarda di nascosto, quando è certo di non essere visto.

7. Wedding planners. 

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Sto pianificando un matrimonio? No. Mi piacciono le decorazioni, il planning di un evento, il decoupage? No, no e no. A me piace lui. Enzo Miccio nazionale. Su quelle sue gambe di gallina percorrerebbe anche l’intero deserto del Sahara, se dall’altra parte ci fossero delle decorazioni in pizzo misto tulle che può appendere alla tensostruttura nel giardino dell’isola segreta dove sta organizzando il matrimonio. L’altro giorno però l’ho visto in difficoltà, perché doveva prepararne uno di una tizia brasiliana che si sposava con un calciatore del mozambico e nessuno dei due parlava né capiva un’acca di italiano. Farsi capire sulla disposizione delle candele al profumo di tiglio con retrogusto di mandarancio sarà stato un lavoro difficile. Ma Enzo può. Enzo è meglio di Alfonso Signorini. E ho detto tutto.

6. Tabatha mani di forbice.

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 Allora. Già il titolo è un programma, perché mi immagino un profano di Real Time cambiare canale, leggere il nome e pensare che sia il sequel o il prequel della vicenda del povero Edward che era nato con le mani di forbice perché il suo inventore non gli aveva messo quelle vere. Niente di tutto questo, per fortuna (?). Tabatha è una famosa parrucchiera (?) che ha il compito di andare in tutti i negozi di parrucchieri che le capitano a tiro, guardare che cos’hanno che non va e sistemarli. Il format è un po’ quello di Cucine da Incubo, soltanto che i malcapitati che ricevono la visita sono di solito poveri titolari mal cagati dai dipendenti che vanno per il negozio a incasinare i capelli della gente con le tinte sbagliate. Se il programma di per sé non basta per esser definito trash, io credo che trash sia il fatto che a me piaccia guardarlo. Cioè, obiettivamente, sono una parrucchiera? No. Che mi frega di come funziona un negozio di parrucchieri? Niente. Però. Però il dramma costante, le litigate, i lava-teste che sparlano dietro al capo e poi vanno in uno stanzino a piangere… Cosa c’è di meglio per staccare un po’ il cervello, alla fine?

5. Abito da sposa cercasi. 

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E’ la mia passione. Ho visto così tanti abiti da sposa che adesso so perfettamente che tipo di abito vorrò indossare quando mi sposerò (se, voglio dire SE, mi sposerò). Ora, io non credo di essere stupida, ma Abito da sposa cercasi (con tutti gli spin-off di sorta: Abito da sposa cercasi Beverly Hills e Abito da Damigella cercasi) è un programma per menomati mentali. Si presenta di solito una povera sposina con mamma/nonna/suocera che non vede l’ora di metterle i bastoni tra le ruote e dirle che sembra grassa con quel vestito o che non se lo possono permettere. Poi arriva il mitico Randy, un incrocio tra un uomo e una bambina di 12 anni fan degli One Direction, si fionda in magazzino, trova l’abito giusto di Pnina Torney (ma chi è sta Pnina? Qualcuno l’ha mai sentita nominare? Che nome delle balle le hanno affibbiato?) e fa felice la sposa, che, con le lacrime agli occhi, says yes to the dress. Eventualmente, possono essere mandate in onda alla fine del programma alcune scene del matrimonio così ben riuscito proprio grazie alla scelta dell’abito.

4. Obesi. Un anno per rinascere.

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Non so come mai, ma sto programma mi si para sempre davanti agli occhi quando mangio cena. E la situazione è abbastanza grave, perché (e qui si capisce che siamo entrati nella parte calda della classifica) ci vuole stomaco per guardarlo. Questo programma è trash nella misura in cui propone delle immagini raccapriccianti e una persona normalmente intelligente non riesce a staccare gli occhi dal televisore. In “Obesi un anno per rinascere” si raccontano le storie di gente, naturalmente, obesa all’inverosimile, ma che non riesce a dimagrire perché ogni giorno si mangia 8 chili di cibo spazzatura. Interviene un personal trainer cattivissimo, che mette a dieta il ciccio e gli toglie tutte le televisioni dalla casa sostituendole con tapis roulant e macchinari per esercizi. A una ha pure tolto l’aria condizionata. Della serie: sei cicciona, devi dimagrire, e nel farlo non puoi neanche stare al fresco, stronza. La parte più divertente di tutto questo è che gli obesi di “Obesi un anno per rinascere” non dimagriscono mai. Non ce la fanno. Si pesano su enormi bilance e dopo un anno sono dimagriti di 3 chili. Pazzesco.
Dimenticavo. Il ribrezzo provato alla vista del lardo dei protagonisti viene ampiamente ripagato dalla vista del personal trainer che si allena.

Foto di Jessie Pavelka …….Bruttino.

3. Sepolti in casa.

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Non è possibile. Non è umanamente possibile che ci siano delle persone che vivono in quelle condizioni. Mi diverto sempre a prendere in giro mio padre indicandogli quei disgraziati e dicendogli che se non la smette di ammassare roba nel suo ufficio un giorno finirà come loro. Ancora mi sogno di notte l’anziana signora che viveva con qualcosa come duecento gatti che pisciavano e cagavano in giro per tutta la casa. Puntualmente, ognuno degli strambi soggetti accumulatori ha una qualche strana storia alle spalle, causa scatenante della suo attaccamento agli oggetti. Di solito ci sono anche dei figli che provano disgusto vedendo le condizioni in cui vive il proprio genitore. Oh. Nessuno che abbia mai fatto nulla. Cioè, tua madre si sta murando viva in casa e tu non fai niente, salvo chiamare qualche produttore per ridicolizzarla davanti a migliaia di telespettatori? Non capisco.

2. Non sapevo di essere incinta.

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No. No. No. No. Non è possibile. Non è possibile che ci siano delle persone su questa terra che non si accorgono di avere un essere vivente all’interno del proprio corpo. Voglio dire, non è una tenia, è un bambino. Come fai a non accorgerti che c’è qualcosa che si muove nella tua pancia? Non ti sei fatta due domande quando nonostante praticaste il coito interrotto non rimanevi mai incinta? Non te ne sei fatta altre due quando ha smesso di venirti il ciclo? Non te ne sei fatta pure un paio quando ti sei accorta che ti si ingrossavano le tette? Un po’ di quesiti su come mai ti scappasse sempre così tanto la pipì? No, certo. Nessuna domanda. Ben ti sta, allora, partorire nel bagno di un autogrill dove non prendono i telefoni e c’è solo un camionista ad aiutarti.

1. Io e la mia ossessione.

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Non poteva che essere il numero 1. Più lo guardo e più ne voglio. Cosa c’è di tanto interessante in gente psicolabile con delle strane manie? Non so, ma c’è di sicuro una spiegazione al godimento che si prova nel guardare una tizia che si mangia la gomma piuma dei divani. Le mie preferite sono: la punk che si beve il sangue ma ha paura di deludere la mamma, facendo ciò; una tizia che non riesce a smettere di ingoiare la sabbia quella che c’è nell’area bambini dei parchi giochi; una coppia di uomo e donna, sposati, che non possono fare a meno di farsi dei clisteri di caffè. Cioè, si sparano il caffè nel culo. Mattina pomeriggio e sera. Lo bollono, lo fanno freddare un po’, si sdraiano per terra in bagno con un buon libro e se lo sparano. Così.

P E R C H E’ ?

Non lo so. Ma ci tenevo a farvi dare un saluto anche da lei, beniamina della programmazione di Real Time. Non so da che programma provenga, ma mi è comparsa come risultato della ricerca immagini per ogni programma che ho googlato. Si è decisamente meritata un briciolo di celebrità anche in questo post.

e181b9f84ef27641b882a7d9faf80f98.jpgCiao tu!

Bollettino da Madrid / Quando la vita è vita all’improvviso

Sono seduta su una panchina del Parque del Retiro di Madrid. Ci sono arrivata camminando per tutto il centro, sono leggermente accaldata. Mi tolgo il cappotto e il sole mi scalda le ossa. Un vento leggero muove le foglie secche per terra, che rotolano lungo i sentieri di terriccio. Di fronte a me si staglia nel suo splendore un palazzo di cristallo, creato, da quanto ho capito, in occasione di un’esposizione universale. I raggi del sole abbracciano gli alberi, l’erba, me, la panchina, e altri sconosciuti a spasso, riflettendosi nel laghetto di fronte al palazzo, producendo giochi di luce attraverso la superficie trasparente.

Dalla borsa tiro fuori “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov. L’avevo iniziato, un paio di anni fa, quando mi era stato regalato. Prima della metà avevo rinunciato. E’ uno di quei libri che richiede una lettura assidua e attenta, i personaggi sono russi e hanno a testa almeno 3 nomi e un soprannome. Non era il momento giusto. Forse adesso lo è? Sfoglio le pagine. Faccio una sigaretta con il Golden Virginia e inizio a leggere. Ogni tanto mi guardo intorno, scuoto la testa e penso: “Sì, sono davvero io, e sono qui, su una panchina a Madrid a leggere un libro mentre aspetto che si faccia sera per incontrare, finalmente, il mio compagno di viaggio”.

Un bollettino minuto per minuto del mio weekend non avrebbe senso. Potrei raccontarvi del nostro incontro all’aeroporto, di come, stanchi ma felici, ci dirigiamo a passo svelto verso l’albergo e ne usciamo solo a mezzanotte inoltrata per placare i morsi della fame da Mac Donald, dei contorni del suo viso sotto il sole quasi primaverile di Madrid, dei suoi occhi scuri e impenetrabili, dei mille e più ancora pensieri che ho visto soltanto passare dietro di essi, in un punto lontano della testa, ma mai usciti dalle sue labbra. Potrei dirvi anche del mio stomaco sottosopra all’idea che l’avrei rivisto, e che la vita è tutta matta, perché mette sulla tua strada persone e le lega a te con fili invisibili che poi tira a suo piacimento, e ti fa prendere un aereo all’alba per passare due giorni con uno di cui non sai niente. Potrei ancora raccontarvi delle lunghe passeggiate in una città piena di gente all’inverosimile, dove, per farsi strada, bisognava spintonare le persone, sopra le cui teste non ho mai perso lui, alto e fiero nelle sue spalle robuste. Potrei infine dirvi di quanto sia strano stringere forte, quasi a volerne ricordare la fisionomia, una persona che rivedrai chissà quando, chissà dove, chissà come.

Queste sono le cose matte che riempiono la vita, belle perché rare e, in qualche modo, irripetibili.

Queste sono le cose matte che fanno battere il cuore anche quando lo credevi annoiato.

Queste sono le cose matte che ti fanno girovagare in giro per una città sospesa a un metro da terra, quando vieni tenuta per mano.

Queste sono le cose matte che io non ho voluto, né avrei potuto, negarmi.

Queste sono le cose matte che cercherò per sempre, senza forse ritrovarle mai.

Queste sono le cose matte che ti spingono dentro la vita, all’improvviso.

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Bollettino dei desideri / Mi sono laureata: e mo’?

Se non lo sapeste già, tre giorni fa, ovvero mercoledì 27 settembre 2013, sono diventata Dottoressa in Lettere Classiche. Non ho più scuse, insomma. Sono un’adulta. Nonostante mio padre sia appena entrato in camera mia con fare minaccioso per chiedermi perché il vecchio pc presenti dei segni di caduta, e nonostante stia scrivendo questo post seduta appunto in camera mia sul letto con un sacco di peluches mentre mia sorella gioca alla Wii e produce strani rumori di motoscafo… sono ufficialmente entrata nel mondo dei grandi.

Realizzo l’effettiva entrata trionfale nel mondo adulto (momento che quando sei un adolescente brufoloso non vedi l’ora che arrivi) soltanto quest’oggi, dato che ho impiegato i giorni scorsi a riprendermi dalla colossale sbronza che i miei amici hanno voluto infliggermi per festeggiare. 

Oggi sono finalmente sobria, e, nonostante i suoni provenienti dalla televisione mi stiano effettivamente un po’ distraendo, posso finalmente dedicarmi a scrivere questo Bollettino, che ho intitolato Bollettino dei desideri perché, in maniera un po’ sciocca e forse un po’ ingenua, ho deciso di condividere con i miei lettori (ne approfitto per dirvi che dal primo post questo blog ha ricevuto ben millequattrocento visite!) un’infantile lista dei desideri. Una lettera al Babbo Natale del futuro. A un Paolo Fox che mi scriva dei begli oroscopi (non per dire, ma l’Ariete era primo in classifica la scorsa settimana) e mi dica che prima o poi non avrò più Saturno contro. A una qualunque divinità che mi garantisca un minimo, un briciolo, un infinitesimo granello di fortuna– qualche piccola botta di culo qua e là.

Nel futuro vorrei…

…che una qualunque università UK mi prenda a fare la specialistica

…essere un cervello in fuga

…girare il mondo per studiare ma tornare, un bel giorno, a vivere nella mia Torino,

…che l’Italia diventi finalmente un paese meritocratico che non costringa chi vuole fare della cultura il suo pane quotidiano a scappare lontano, dove noi che sappiamo il Greco e il Latino possiamo far qualcosa nella vita

…avere un lavoro

…avere una casa

…comprarmi tantissimi libri e star tutto il giorno sotto le coperte a leggere

…non aver ancora letto Harry Potter e rileggermi tutti i sette Harry Potter da capo

…andare a trovare i miei amici in giro per l’Europa

…poter bastare a me stessa

…avere un accento british quando parlo inglese

…vivere anche solo un mese a New York come Carrie Bradshaw

…conoscere sempre persone stimolanti

…poter fare un viaggio con la mia famiglia come ai vecchi tempi, magari in Australia o in California

…che tutti quelli che amo siano felici e in salute

…che il Karma cominci a funzionare, diamine!

…che le mie amiche non smettano di volermi bene anche se ogni tanto sono stronza

…che la vita giri nel verso giusto

…non smettere mai di essere un’ingenua sognatrice.

…non accettare mai più di farmi legare una bottiglia di vodka ad una mano.

 

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Bollettino dei 10 motivi per correrci dietro

Avrete probabilmente letto, negli ultimi giorni, il post scritto da Cristiano Girola su Paper Project (http://paperproject.it/sport/rundom-parole-sparse-di-corsa/10-motivi-per-corrervi-dietro/) intitolato: “10 motivi per corrervi dietro. Consigli di seduzione da un uomo a una donna”.

Che soddisfazione, caro Cristiano, vedere che anche gli uomini ogni tanto si arrovellano sulle questioni relazionali. E io che avevo cominciato a credere che il vostro cervello, quando si tratta di rapporti interpersonali maschio-femmina, semplicemente si spegnesse e seguisse ogni volta gli istinti primordiali scritti nel vostro DNA fin da quando eravate dei teneri e pelosi homines habiles. (Sì, sono secchia e l’ho declinato al plurale).

Il problema, almeno per quanto mi riguarda, sorge quando alcuni dei punti di questa classifica sfiorano, diciamo, l’impossibile. Spero che il mio collega blogger non si offenderà se riprenderò la sua classifica punto per punto, cercando di trovare delle soluzioni più equilibrate.

1. Agli uomini non frega niente della biancheria intima. Questo, devo dire, mi ha dato un grande sollievo. E’ una vita che vado in giro con i pezzi spaiati e che sostengo che non si possa avere sempre il reggiseno dello stesso colore delle mutande!! Cioè, ogni tanto ci provo anche io, ad andare da Intimissimi per comprarmi un completo, ma poi, una volta a casa, il cassetto della biancheria gioca sempre brutti scherzi. Il mio, ogni volta che viene aperto, sembra sul punto di esplodere e fanno capolino calze, calzette e mutande che non c’entrano nulla con quello che ho addosso e che gridano disperatamente per essere soccorse. Dunque non è colpa mia.
Conobbi però, quando ero più piccola, ragazzini che ammisero in mia presenza di abbinare i boxer alla maglietta. Come la mettiamo?

2, 3, e 4. (Addirittura 3 punti! Cos’è questa ossessione per le calze?). Non c’è niente di bello in un colllant. Secondo il mio collega, noi donne dovremmo andare in giro per la città, in qualunque stagione, SENZA CALZE o meglio ancora con le parigine. Cristiano, lascia che ti spieghi una cosa. FA UN FREDDO FOTTUTO! Ti sembra normale che qualcuno a Gennaio vada in giro a gambe nude? Gennaio è pure il mese in cui è quasi illegale depilarsi le gambe, per altro. Se proprio ci tieni a vedere ragazze scosciate, fai un giro in Inghilterra: lì le ragazze, vere zozze, vanno in discoteca (ok, in discoteca fa caldo, ma il tragitto università-club è di circa mezz’ora al gelo), in pieno inverno, senza collant. Fighe? Non tanto. A meno che non ti piaccia contemplare gambe pallide e cellulitiche.
Per quanto rigurarda le parigine… Ecco tu forse ti stai immaginando la ragazza super gnocca alta almeno 1,75 con la gonnellina e le sue calze sopra il ginocchio, pronta a stendere con il suo sex appeal ogni essere di sesso maschile che le si pari davanti. Cristiano, come puoi essere così ingenuo? Le ragazze di 1 metro e 75 sono bestie rare. Si stanno estinguendo. Io sono alta 1 metro e 58 per un discreto peso e fidati… non vorresti mai vedermi indossare un paio di parigine.
Però grazie, Cristiano, per aver parlato dei collant color carne. Nemmeno io frequenterei un’amica che mette i collant color carne. Infatti le mie amiche non li mettono. E sono mie amiche per questo.

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5. Vietati il leopardato e lo zebrato. Sono d’accordo su tutta la linea, ma cari ragazzi, alcune di noi sono delle vere fashion victims. Alcune di noi (non io, ma rispetto le donne che lo fanno) seguono le sfilate e le tendenze per filo e per segno. Se va il leopardo, state pur sicuri che loro ce l’avranno. Se sono persone fini, solo un dettaglio, magari rivisitato e non troppo appariscente. Insomma stiloso. Ma poi io non è che veda tutti i giorni ragazze vestite con robe animalier, se non conto Snooki di Jersey Shore. Inoltre, più scrivo e più non mi capacito di questa ossessione sul nostro modo di vestirci. Se ti piace una ragazza, ci esci, un bel giorno si mette un top leopardato, e proprio quel giorno te la vuole dare… Tu mi dici che non la prendi?!

6. “Una camicia di taglio maschile potete indossarla solo se è quella del vostro uomo, raccolta da terra la mattina e indossata perché avete un po’ freddo. Quella è sexy. Quella e basta”. Eddài, Cristiano. A me piacciono tanto le camicie. Mi sono sentita profondamente toccata da questo punto e ho pensato di aver sbagliato tattica per anni. Tattica, oddio. Non che mi metta le camicie per sedurre gli uomini Quello che descrivi tu è quando Julia Roberts si sveglia nel letto di Hugh Grant in Notting Hill… credo nessuna di noi sarebbe capace di eguagliarla. In ogni caso, giuro, metto molte meno camicie di una volta. Però mi piacciono lo stesso. Danno un tocco elegante. Voglio dire, non la penseranno tutti come te… vero?

7. Via le ballerine. Mi è stato detto, in faccia, da un amico, un’estate di un paio di anni fa. Era sera ed eravamo al parco, in compagnia. Lui vide le mie scarpe (un paio di ballerine) e disse: “Otta, quelle scarpe sono anti-sesso”. Il giorno dopo andai a comprarmi un paio di scarpe chiuse. Insomma, ho indossato ballerine per tutta l’adolescenza, il distacco è difficile, ammettiamolo. Sono comode davvero, e se siamo abituate ad indossarle non sarà così facile dire addio al loro look ergonomico e pratico. Io ho avuto bisogno di quel commento sarcastico. Anche se, devo ammetterlo, ogni tanto non resisto. Se sei stata una da ballerine, in fondo al tuo cuore, lo sarai per sempre.

8. Niente taccazzi col plateau. Cristiano, tu forse non lo sai, ma il plateau è stata un’invenzione fenomenale. Permette a noi povere ragazze di 1 metro e neanche 60 centimetri di riuscire a guardare il mondo dal punto di vista delle persone normali senza rischiare di spezzarci l’osso del collo. Sono d’accordo, alcune (me compresa, a volte) ci camminano come se avessero ai piedi dei ceppi di cemento. Quello è male, ti do ragione. Ma lasciami il plateau. Lasciaci il plateau. Non tutti i giorni, per carità. Io vado in giro con le Camper, figurati. Ma ogni tanto nei negozi di scarpe mi parte l’embolo e mi compro un paio di tacchi “a parallelepipedo” come li chiami tu e poi sento il bisogno di metterli, ogni tanto. Una volta al mese. Solo se vado a cena fuori, così sto seduta e non mi muovo troppo.

9. “In generale, se riuscite a declinare la sensualità nella sua versione naturale e non eccessiva, toccate l’apice”. e 10. “Leggete i post che vi danno consigli di seduzione e poi metteteli da parte“. Per queste, mio collega, ti voglio bene, e decido di diffondere il verbo anche sul mio blog, per quanto il pubblico sia senz’altro più ridotto. Ma è un messaggio importante. Come ho detto prima, ho rinunciato tempo fa a cercare di trarre delle regole applicabili generalmente alle relazioni, perché non esistono. E non esistono uomini che capiranno mai i ragionamenti contorti che facciamo noi donne e per i quali, se voi non li capite, vi mettiamo il muso. La mia filosofia di vita è che veniamo da due pianeti opposti e che quando ci rassegneremo a capire che frasi come “Ma dici che se non mi chiama è perché si aspetta che lo chiami io o perché magari è senza soldi nel cellulare o gli è successo qualcosa….?” oppure “Lo capirà o no che ho bisogno di più attenzioni?” non hanno senso di essere dette. No. Non lo capirà, a meno che tu NON GLIELO DICA!

Ciao amici. Torno a ballare in camera mia con le canzoni tarre a tutto volume invece di ripetere la tesi.

 

Bollettino della PMS / Manuale di gestione della donna nei giorni prima di “quei giorni lì”

P.M.S., in inglese, è acronimo di Premenstrual Syndrome. In italiano, sindrome pre-mestruale. Una malattia, una vera malattia, che affligge molte donne, nel nostro paese e in quelli vicini e lontani, e di cui nessuno, vuoi per pruderie, vuoi per ignoranza, vuoi anche per indifferenza, parla apertamente.

Amiche, non dobbiamo nasconderci. Se nei due o tre giorni prima della settimana più fastidiosa del mese siamo più rompi coglioni, più isteriche e più piagnone del solito, c’è un motivo. Insomma, lo scrivono pure sui Lines Seta Ultra.

Uomini, non vi dovete schifare. Non farò menzione di cose raccapriccianti. Questo post è pensato per voi, per cercare di capire quando certe cose è meglio evitarle, certi argomenti non trattarli, certi film non farceli guardare. Non voglio che questo blog diventi un rotocalco né una specie di Donna Moderna con consigli omeopatici per quando noi femmine abbiamo male al pancino, perciò, amici, leggete anche voi, e aiutatevi ad aiutarci.

Per il mio bollettino della PMS utilizzerò i sintomi più comuni della Sindrome Pre-Mestruale (trovati banalmente su internet) (e sì, c’è pure una pagina Wikipedia), per raccontarvi la mia personale esperienza e cercare di ricavare delle regole universali di comportamento da tenere nei confronti di noi poverette impazzite.

Il termine sindrome premestruale è stato introdotto per la prima volta negli anni sessanta, ad opera di Greene e Dalton, ma ancora non è stata identificata, tuttora, in modo definitivo, la causa scatenante dell’insieme di questi disturbi. Si ritiene in ogni caso trattarsi di una sorta di reazione autoallergica, dovuta a un’eccessiva produzione di ormoni da parte dell’ipofisi nella fase post-ovulatoria e premestruale; essa comporta un eccessivo lavoro da parte del fegato, e il relativo stato di affaticamento. (Fonte, per l’appunto, la cara Wikipedia).


Dunque, se ingenuamente, leggendo “un’eccessiva produzione di ormoni” vi fosse venuto in mente che avesse a che fare con un’eccessiva voglia di fare le cosacce, avete sbagliato. A quanto pare il fegato lavora troppo e ci sentiamo affaticate.

Ma passiamo ai sintomi.

Sintomi fisici.

1) Tensione mammaria. Ergo: tette più grosse!!! Di questo sintomo direi che nessuna si può lamentare. A parte un leggero fastidio a dormire a pancia in giù, nessuna donna, checché ne dica, sarà scontenta di aver guadagnato qualche centimetro di circonferenza seno.

2) Sensazione di gonfiore diffuso. Che è il modo gentile per dire che ci sentiamo delle balene con la pancia grossa. Questo, amici, non è ancora il vostro campo. Se noi donne siamo molto sensibili ai sintomi fisici della PMS, sono abbastanza fiduciosa che voi non ne percepiate nessuno. Ma non è colpa vostra. E’ un deficit di attenzione genetico, non vi preoccupate.

3) Cefalea. Può tornare utile come giustificazione a quei momenti in cui “No, stasera no, ho mal di testa”…

4) Acne. Vero. E che fastidio! Ovviamente gli uomini non li noteranno, ma quegli odiosi brufoli a me fanno perdere le staffe perché mi sembra di essere tornata alla terza media quando mi lavavo la faccia col Topexan. Già.

5) Disturbi dell’appetito. In questo campo non sono particolarmente ferrata perché per quanto mi riguarda mangerei tutto il giorno, tutti i giorni, e ritengo che lo stomaco pieno sia una tra le sensazioni più appaganti della vita.

6) Costipazione o diarrea. Beh siccome ho promesso ai ragazzi che non avrei parlato di schifezze (e dato che molti miei amici siano convinti che le donne non facciano la cacca) mi asterrò dallo spiegare questo sintomo… Avete ragione. Noi non la facciamo!

7) Dolori muscolari e/o alla schiena. Più acciacchi delle vecchie dell’ospizio, insomma.

8) Aggravamento di asma, rinite. ELLAMADONNA, così però state esagerando.

9) Aumento di peso. Questo potrebbe essere vero. Quindi se vi devono venire e vi viene la malaugurata idea di pesarvi su una bilancia di precisione, state tranquille ragazze: quei 3 chili in più rispetto alla scorsa volta è perché avete l’utero appesantito. Sì.

SINTOMI PSICHICI (quelli che mettono a repentaglio l’incolumità di chiunque entri nel raggio d’azione della donna PMS)

1) Irritabilità e variabilità dell’umore. Vi dico solo che ieri, in piena PMS, ho scagliato per terra il mio telefono con una forza tale che avrei poturo fare un buco nel pavimento. E ho detto a mio padre di non rompermi i coglioni. Oggi nessuno in casa mi parla. Solo mia sorella, che, nonostante io l’abbia mandata affanculo, mi ha perdonata dopo circa mezz’oretta, perché mi vuole troppo bene. Amici e amiche della ragazza PMS, anche se non ne sapete il motivo, ma una vostra amica di solito pacata, o comunque non violenta, tenta di mettervi le mani addosso, non impressionatevi. Non è colpa sua, e probabilmente l’indomani se ne pentirà amaramente. La tattica è fare finta di niente, finché la furia assassina non si tramuta in qualche altro spaventoso sintomo.

2) Voglia di piangere. Ho passato una vita intera, prima di scoprire dell’esistenza di questo sintomo, a chiedermi il perché di certi pianti inspiegabili a qualunque ora del giorno, per delle stronzate. Inizia come un generale senso di tristezza e malinconia, per poi raggiungere l’apice con lo scoppio di un pianto disperato perché, per esempio, la mamma non ha capito che per cena non volevate il minestrone, o perché nel film che state vedendo su La5 quel matrimonio di quei due che si amano vi fa proprio commuovere.

3) Depressione. Le mie amiche mi escludono. A casa nessuno mi vuole bene. All’università nessuno capisce il mio valore. Sono un cesso. E via così, fino a demolirsi, pezzo per pezzo, l’autostima che avevamo cercato di mantenere stabile nelle tre settimane precedenti, subito dopo la depressione durante la PMS. E così all’infinito– o almeno fino alla menopausa.

4) Diminuzione della libido. Sicuramente collegata con la cefalea di prima. Fidanzati, non prendetevela. Non è per noia.

5) Astenia. Parolone per dire banalmente “spossatezza”. Per esempio, non sentitevi in colpa a balzare palestra, se sentite di essere PMS.

6) Difficoltà di concentrazione. Ah quindi è per quello che negli scorsi giorni non avevo un cazzo voglia di prepararmi la discussione per la tesi? No, aspetta, non ho un cazzo voglia neanche adesso che la PMS è finita.

7) Livello di sopportazione diminuito. BEH, VORREI VEDERE VOI, CON LE TETTE PIù PESANTI IL DOLORE ALLA SCHIENA LA RINITE LA CEFALEA LA DEPRESSIONE E LA DIARREA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

Sui siti per donnemestruate e vari forum femminili si dice che il cioccolato aiuti le donne in fase premestruale. Figata. Amici, parenti e uomini tutti. Meno cazzate e più Ferrero Rocher. Forza.

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Bollettino dell’eversingle / 10 motivi per cui diventerò una zitella coi gatti

Negli scorsi giorni gli eventi mi hanno portata a chiedermi che cosa, effettivamente, renda me – sempre single – diversa da tutte le altre persone che sono in una relazione, da anni, da mesi, o da giorni. Sono giunta ad una saggia e per niente sofferta conclusione. E’ tutta colpa mia. Colpa, oddio, non la chiamerei così. E’ solo che sono fatta in un modo che non si incastra coi modi degli altri. Ho stilato perciò un simpatico decalogo delle motivazioni che mi tengono così distante dallo strano e pericoloso mondo delle relazioni amorose.

1) Non ho mai capito e mai applicato la regola “in amore vince chi fugge”. Io inseguo. Sempre.

2) Mi innamoro anche se non corrisposta. Un suicidio, per chiunque altro. Per me, è la norma.

3) Penso sempre di poter passare dalla strada dell’amicizia, prima. Mi dico, se ci divento amica, poi si renderà conto di non poter far a meno di me. I fatti confermano invece che ogni volta mi muro viva dentro la friendzone.

4) Sono una gran rompicoglioni. Ma di dimensioni, come dire, atomiche.

5) Sono molto aggressiva (leggi: variante di rompicoglioni). I ragazzetti smidollati scappano come delle volpi inseguite da signorotti inglesi sui cavalli nella stagione di caccia, quando capiscono che non avranno vita facile con me.

6) Sono molto selettiva (altra variante di rompicoglioni?) Da questo punto numero 6 potrebbe diramarsi un’infinita lista di cose che un uomo deve avere per essere da me considerato per una possibile relazione. Tra queste, mi limiterò a dire: è necessario che la persona che frequento sappia la grammatica italiana correttamente e che abbia un certo qual genere di cultura, anche minima, ma di quel genere che può ben avviare una conversazione. Strafalcioni come “a me mi” o “vizzi” come plurale di “vizio”… ecco. Non ci siamo proprio.

7) Non mi accontento (molto rompicoglioni). Io sto con Ligabue, ragazzi. Chi si accontenta gode così così. Non sono una di quelle persone (ormai è evidente) che passa da una relazione all’altra perché star da soli è difficile. Io ho imparato a convivere con me stessa discretamente, e porca miseria, ragazze, dico a tutte voi, non accontentatevi mai di uno che vi piace solo un pochino. Non è giusto. Non scegliete quello carino ma un po’ scemo. Non scegliete nemmeno quello intelligente, se fisicamente vi fa vomitare. Non è giusto. Scegliete sempre, se potete, le farfalle nello stomaco.

8) Spesso non riesco a dare molta fiducia alle persone dell’altro sesso perché mi aspetto, prima o poi, una bella rastrellata sui denti (per dirla in modo fine). Spesso sbaglio. Spesso, anzi, avrei dovuto diffidare delle femmine, loro sì che sono infide se vogliono portarti via un uomo.

9) Sono attratta dai musicisti. I musicisti sono troppo volubili.

10) Sono, in conclusione, anche un po’ sfigata. E una volta uno ha la fidanzata, l’altra volta “non vuole la relazione seria”, l’altra ancora un’amica si rivela più furba che bella, l’altra l’altra ancora mi butto a capofitto in una storia con uno che da me vuole chiaramente, soltanto, una cosa sola, e una volta ottenuta non mi chiamerà più, e io lo so, e mi butto lo stesso, un’altra volta ancora faccio delle figure da cogliona che mi porteranno, inevitabilmente, al fallimento.

Non ci sono trucchi per sopravvivere alle inculate amorose o per trovare un fidanzato. Alcune ragazze sono più fortunate di altre. L’amore esiste. Esiste la vita. E un po’ di ironia. Una bella risata, e si riparte da capo, alla scoperta di un mondo di cui non capisco – e non capirò mai – un cazzo.

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Bollettino dal Cemetery Tour / Tracce di pensieri nel weekend dei santi e dei morti

Io e i miei non passiamo spesso un’intera giornata insieme. Insomma, se siamo a Torino, ognuno si rinchiude nella prorpia stanza. Se siamo al mare, ognuno va per la sua strada. Lo so, questa affermazione potrebbe aprire un grande dibattito sul valore della famiglia oggigiorno, sui giovani, sulle tecnologie, sulla droga… Ma oggi no.

Oggi io, mio papà, mia mamma, mio fratello e mia sorella ci siamo schiacciati nella Ford Focus che una volta era del nonno, e siamo partiti alla volta dei cimiteri. Ovviamente, nessun buon cristiano piemontese che si rispetti si fa seppellire a Torino. Nessun nonno piemontese è originariamente di Torino. O comunque, tutti i miei nonni hanno preferito il comfort di qualche cimitero di campagna. Come se poi, da morti, da dentro il proprio loculo si possa apprezzare il comfort del cimitero… (Pensiero macabro. Mi sono venuti un po’ i brividi).

Prima tappa: Busca. Busca è un paesello dalle parti di Saluzzo dove i miei nonni materni avevano una casa, e dove mia mamma e mio zio da piccoli scorrazzavano per i campi e le cacche di mucca. Sempre per la serie: la vita più sana che si faceva senza tecnologia, e i valori della famiglia di oggi, e le droghe e bla, bla, bla. Comunque. A Busca riposano in santa pace i genitori di mia mamma: la nonna Birba e il nonno Sergio. Fa effetto, devo ammettere, entrare in quel cimitero e vedere il nome del nonno accanto a quello della nonna, a ben pensarci è una novità. Fino all’anno scorso il tour dei cimiteri, e la scelta dei fiori, li aveva fatti anche lui. Lasciando da parte la tristezza, e la nostalgia che inevitabilmente si prova in circostanze del genere, soprattutto quando quei due nomi scritti sul marmo sono nomi di due persone che hai amato immensamente, ci sono delle cose che rendono quella tomba speciale (se mai si può dire che una tomba è speciale, ecco). Intanto, le foto dei nonni non sono due di quei ritratti da morti, in bianco e nero o peggio seppia, che i vecchietti si fanno fare apposta per metterli sulla tomba. La nonna Birba è giovane, in montagna. Il nonno ha un golf scuro, la foto è a colori, lui guarda il cielo. Sono belli, sono vivi. E poi: prima il nome e poi il cognome! La sequenza NOME e poi COGNOME è uno dei più bei sintomi di civiltà e modernità, in questi ultimi tempi.

Per rendere sopportabile questa giornata che si prospetta ancora molto lunga, la mamma ci porta a mangiare nel ristorante preferito del nonno. Sotto il naso passano gnocchi al castelmagno, battuta di vitello, tagliata di manzo, tagliolini ai funghi, funghi fritti, formaggi, cinghiale, meringata, sorbetto… E in mezzo a tutte queste prelibatezze non possiamo non volerci bene: il cibo annebbia la mente.

Arriva il momento di andarcene, fino al cimitero di San Bartolomeo dove ci sono i genitori di mia nonna paterna, tra cui la fantastica bisnonna Ottavia a cui devo il nome. Il mio posto sulla Focus comincia a essere un po’ stretto.
“Togliti il cappotto neh! Poi lo stropicci! Io non so cosa fai tu ai cappotti per ridurli così…”
Manco il mio sport preferito fosse rotolarmi nel fango col cappotto nero. Va beh.
Cerco di dormire, tutto quel cibo mi ha messo un discreto sonno. Appoggio la testa allo schienale e, dopo qualche secondo, spalanco la bocca. Non faccio in tempo a raggiungere uno stato di dormiveglia che i miei stanno già berciando, perché mia madre, seduta dietro per far spazio al principino, cioè mio fratello Giorgio, non sente quello che le dice mio padre, che per questo motivo si innervosisce e chiede a mia sorella di fare da tramite. Peggio del mercato. Nella mia mente le loro voci si intrecciano l’una con l’altra. Mi danno un gran fastidio, ma resto con gli occhi chiusi. Non possono rompermi le palle anche quando dormo, dopo tutto, no?

Dopo un viaggio che sembra interminabile arriviamo nel minuscolo cimitero vicino a Chiusa Pesio, talmente piccolo che quasi tutti hanno lo stesso cognome. Mi rattristo un po’ davanti alla tomba di famiglia. Il mio aveva 9 fratelli e sorelle, ma due morirono appena nati, una a vent’anni, un’altra a sedici. Che tristezza.
“Andiamo?”
“Ottavia siamo in un cimitero non parlare forte!”
Ma io non parlo proprio, basta che qualcuno mi dia una botta in testa e mi faccia dormire fino alla prossima tappa. Ma in macchina, ovviamente, non dormo.
Mamma: “Magari chiamo Barbara, vediamo se sono a Cherasco?”
Papà: “Sì dai, facciamo un saluto!”
Mamma smanetta sul telefono: “Ah ciao Barbara, perfetto sei al golf fino alle sei e mezza? Allora ci vediamo!”
Passano le ore. Ci avviciniamo a Cherasco.
Mamma: “Allora chiamo Barbara?”
Papà: “Boh!”
Mio fratello: “Ma non l’hai chiamata prima?”
Mamma: “Eh ma cosa facciamo, andiamo?”
Io: “Io non ci voglio andare. Andiamo al cimitero e bon. Poi casa”
Papà: “Tu fai quello che diciamo noi!”
Io: “No, non ci voglio andare al golf. Guarda Giorgio, ha tutti i capelli dritti sulla testa, che schifo, cosa ci facciamo al golf!! Voglio andare a casa!”
Papà: “Sei proprio una rompi coglioni. Sai una rompi coglioni? Ecco, una rompi coglioni. E’ incredibile, a passare la domenica con voi viene voglia che arrivi lunedì”.

Finalmente arriviamo. Salutiamo il nonno Gino, il papà di papà. Guardandomi intorno, e vedendo tutte le tombe decorate con dei bei fiori, mi viene da pensare che il ricordarsi dei propri cari è un gesto davvero nobile, che alla vita dopo la morte si creda o meno. Si portano interi vasi di fiori a quello che, sottoterra, è fondamentalmente un mucchio di ossa, ma che una volta è stato una mamma, un papà, una moglie, un marito, uno zio, un nonno, una nonna, un amico. Ho voluto bene ad ognuna delle persone di cui oggi ho letto i nomi sulle tombe. Io li conoscevo. Il nonno Sergio l’ho visto l’ultima volta 6 mesi fa. Ogni tanto mi dimentico pure che non c’è più. Lo adoravo. Nonostante andare in giro per cimiteri non sia piacevole, nonostante siamo stati così stretti in macchina, nonostante tra poco verrò trascinata al golf a salutare il parentado, nonostante abbia sonno perché ieri sera ho fatto le 4… Sono contenta. Di quella contentezza malinconica, dolceamara. Il nonno Sergio diceva: “Polvere eravamo, polvere ritorneremo”. Un ebreo in un cimitero cattolico. La vita è matta. Ma vedere la sua foto, lì accanto a quella della nonna, che lui amava così tanto, e a cui è sopravvissuto, contro le aspettative di tutti, per 10 lunghi anni, mi ha reso quasi serena. So che loro sanno che io sono lì, e che mi ricordo di loro, e che, in effetti, non li dimenticherò mai.

Nonno Sergio, piccolo esemplare di Otta, Nonna Birba.

Nonno Sergio, piccolo esemplare di Otta, Nonna Birba.

Bollettino dell’orgoglio ferito / Uomini che non vogliono sentirsi dire NO

La mia professoressa di greco del ginnasio sosteneva che il cervello umano non percepisca correttamente la parola NO. Ogni volta che il NO compare in una frase, che sia un suggerimento o un divieto, la nostra mente automaticamente prefigura la possibile alternativa, insomma si concentra, per un secondo, sulla cosa da non fare. Ad esempio, ora, NON pensate ad un elefante. Quanti di voi leggendo questa frase hanno invece effettivamente pensato ad un elefante?

Ecco, credo che la prof avesse ragione. Una delle cose più difficili da comprendere razionalmente, nella vita, è probabilmente il concetto di rifiuto. Devo dire che anche nel campo dell’accettazione e interiorizzazione di un secco NO, il cromosoma Y spinge l’uomo a fare cose bizzarre.

Un paio di anni fa. Sto attraversando la strada, e un tizio in bicicletta si ferma per farmi passare. Fa caldo, io probabilmente indosso un vestitino o degli shorts. Ringrazio il tizio che mi fa attraversare con un cenno della mano, ma lui in realtà è un gran cafone. Proprio sembra non riuscire a trattenersi dall’esprimere apprezzamenti sul mio aspetto fisico, e, con un ghigno, dice ad alta voce: “Ti faccio passare solo per guardarti il culo!”. Mi fermo, in mezzo alla strada. Non riesco a capacitarmi della bassezza della battuta. Detesto profondamente lui e la categoria degli uomini a cui appartiene: “quelli che quanto so’ figo che suono il clacson a una gnocca”. Mi giro di scatto verso l’idiota, lo guardo insistentemente e poi gli urlo un sonoro: “Fanculo, coglione! Sei un cafone!”. Eccolo lì, il giusto rifiuto ad un approccio imbarazzante. Il coglione trasecola, non si aspettava che gli urlassi addosso così. E’ ferito nell’orgoglio. Profondamente ed irrimediabilmente. Mi squadra da capo a piedi e decide di umiliarmi: “Tanto sei pure cicciona”.

Stasera. Sto attraversando il ponte di piazza Vittorio con due amiche. Passa una macchina con a bordo quattro ragazzetti deficienti. Il passeggero abbassa il finestrino, mi guarda e dice: “Ehi, bionda, sai dov’è piazza Vittorio?”. Le mie amiche ed io ci guardiamo perplesse, ma siamo ingenue e pensiamo di aver capito male. “Come scusa?”. “Bionda, dov’è piazza Vittorio?”. Mi indispettisco. Lo so, mi indispettisco facilmente. Però a me gli idioti danno proprio fastidio. Un fastidio fisico, quasi. Voglio dire, SIAMO in Piazza Vittorio. Vuoi davvero che non lo sappia? Guardo il deficiente scocciata e gli indico ‘sta benedetta Piazza Vittorio, dicendo: “E’ qui, no????” e facendo una smorfia ben esplicativa dei miei pensieri, non so, tipo quando da piccoli si diceva GANGAbanana. Insomma, sto chiaramente rifiutando il suo approccio del cazzo. Il tizio, dopo un paio di secondi, capisce di dover uscire dalla situazione a testa alta. Mentre l’amico riparte, urla, di modo che lo senta tutto il circondario: “NON PARLAVO CON TE CESSA DI MERDA!!”.

Ok ragazzi, dai. Io sarò anche un po’ fumantina, però voi dovete imparare a gestire la rabbia scatenata dalle ragazze che rifiutano le vostre avances. O, nel dubbio, perfezionare la tattica di baccaglio, perché mi sembra evidente che questo modus operandi non funziona.

A destra, un esemplare di cromosoma Y. Che è chiaramente un cromosoma X a cui manca un pezzo. Ergo, non c’è da stupirsi che siate menomati.

Bollettino dal dipartimento di Lettere classiche / Gli incontri e le sensazioni durante un’ora e mezza di attesa per parlare con la relatrice

Premessa. In questo momento, in questo grandioso e preziosissimo momento che dedico, per la prima volta da non so quanto tempo, a scrivere qualcosa su un blog, dovrei fare tutt’altro. Di fianco a me, qui sul letto, giacciono il mio sfigato iPhone 3GS e la bozza delle prime 36 pagine della tesi. Un foglio a righe spunta, tutto stropicciato, tra le pagine formato Word (no, scusate, Open Office, perché Word è scaduto, così dice il pc). Sopra ho annotato quello che mi ha detto la relatrice ieri, durante il ricevimento. Molte delle cose che ho scritto sono incomprensibili, ma non perché abbia una brutta grafia. Semplicemente perché non ho capito proprio tutto di quello che stesse dicendo, quindi mi limitavo ad annuire e a scarabocchiare qualcosa tipo: “attenzione” “riformula” “cronologia” “paragone” “spiegare”.
Proprio da questo, però, prendo spunto per raccontare il mio incontro con la relatrice la settimana scorsa, quando mi sono presentata nel suo studio per consegnarle, finalmente, la tesi da correggere.

Arrivo nel dipartimento di Linguistica e Tradizione Classica un po’ trafelata, dopo pranzo, e piazzo le mie cose nei modernissimi armadietti che si chiudono solo se ci metti dentro un euro. Davanti allo studio della relatrice non c’è nessuno, sono ancora le 2 e mezza e il ricevimento inizia alle 3. “Figata!”, penso, e vado a sedermi in un’altra stanza con la mia bella tesi fresca di stampa, ci ho fatto addirittura mettere la spirale per rilegarla! (Fotocopiare questa maledetta bozza e fare pure la splendida con la rilegatura mi è costato 5 euro. Quando la signora della copisteria ha battuto cassa ho avuto un attimo di mancamento, ma le ho comunque allungato una scintillante banconota nuova).
Verso le 3 e 5 torno davanti allo studio della professoressa. Girando l’angolo vedo un capannello di persone. Mi maledico. Non potevo stare a sfogliare la tesi davanti allo studio? No, no di certo, anzi ho addirittura aspettato le 3 e 5 minuti per tornare. Così ora dovrò aspettare due ore e mezza prima di riuscire a concludere qualcosa. “Gli ultimi saranno i primi, Ottavia, gli ultimi saranno i primi”, mi ripeto, mettendomi in fila.

Non ho molta voglia di parlare con gli elementi che mi circondano. Preferirei nascondermi dentro un armadio e rispuntare solo al momento giusto. Mentre cerco di rendermi invisibile col pensiero, l’Arpia mi rivolge un cenno del capo (l’Arpia è un essere spregevole. In corso con me per 3 anni, non mi ha mai rivolto più di un cenno del capo. Taccio qui i suoi difetti fisici, che la rendono odiosa alla vista dei più). Torno ad appiattrmi contro il muro. Dopo una decina di minuti, capisco che non me ne andrò tanto presto. Mi giro verso le altre ragazze che aspettano come me, e chiedo:
-Siete qui anche voi per la tesi?
-Sì, sì, per consegnare delle pagine da correggere.
Mentre mi parlano, mi accorgo che non sono facce a me completamente estranee. Devo averle viste qualche volta a lezione. Aspetta. Ah ok, la piccolina ha dato un esame di Latino medievale lo stesso giorno in cui l’ho dato io. E l’altra nerd? Oh. Oh dio. La mia memoria torna indietro nel tempo, lezioni di due, tre anni fa, e mi ricordo. Stava sempre con un ragazzo più alto, e durante i corsi, mentre ascoltava o prendeva appunti, la vedevo sempre con una mano in bocca, intenta a staccarsi pezzi dall’interno del labbro superiore. Trattengo un leggero conato di vomito.
Una mi chiede:
-Tu su cosa la fai la tesi?
-Sul Satyricon di Petronio, in particolare sul personaggio di Eumolpo. E voi?
-Io su un passo di Lucano.
-Io su un passo di Ovidio. Ma non ne posso più. Ho già scritto 150 pagine e sono sfinita.

Frena. WHAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAT? 150 pagine? Guardo in basso. In mano ho la mia tesi con quella spiralina. Sembra così sottile, adesso. Pensieri catastrofici cominciano ad annebbiarmi la mente. Concludo, però, che loro possono ben aver scrito 150 pagine, che s’impicchino. Spero che la commissione mi dia un punto per la simpatia.

Sono depressa ormai. Mentre una delle due sfigate è a parlare con la relatrice, vedo arrivare dal fondo del corridoio un bel ragazzo, alto, moro, sorridente. Guarda dentro lo studio, poi si mette vicino a me.
-Sei anche tu al ricevimento?
-Sì, devo consegnare la tesi.
-Ho capito. Senti ma lei com’è, ad insegnare?
-Molto brava, ma anche precisa e severa.
Il tizio si rabbuia.
-Ah, ok. Sai, perché devo dare un esame integrativo per l’insegnamento, spero che con me sarà più clemente.
Comincio a fare la carina. E’ più forte di me.
-Ah, insegni?
-Non ancora. Per ora gestisco dei laboratori nelle scuole medie, e mi mancano un paio di esami per l’abilitazione. Tu che fai?
-Niente di speciale in realtà, sto per laurearmi, e dopo sarò in un mare di m****! Sei giovane però, già insegni?
-Beh, quanti anni mi dai?
-Non lo so, direi 28?
-Aggiungine una decina…

Se dovessero disegnare un fumetto di questa scena, mi vedrei perfettamente ritratta con un gigantesco GULP! vicino alla testa. Mi dico che non posso continuare a fare la svenevole con un quasi quarantenne. Nonostante ciò, segue un’oretta buona di conversazione fitta fitta, in cui scopriamo di avere un sacco di cose in comune, dalle lenti a contatto alla bicicletta, lui ogni tanto mi tocca un braccio. Insomma, c’è feeling.

Arriva però il mio turno dalla professoressa.
-Ah, Ottavia, ma perché lei non mi ha mai sollecitato nella correzione?
Sguardo interrogativo da parte mia.
-Guardi, professoressa, non volevo disturbarla. Beh, intanto l’ho finita!
La professoressa ride.
-Certo che lei è proprio un bel tipo.
Sì, dai, ridi un po’. Fa proprio ridere. Io tra un po’ me la faccio nei pantaloni da quanto sono divertita. Il breve colloquio, comunque, finisce presto, e il mio bel moro è ancora lì fuori. Recupero la giacca e un paio di fogli, e, andandomene, gli dico:
-Beh, se avessi mai bisogno di una mano per latino, mi trovi qui.
Stavo per dirgli “ti lascio il mio numero” ma mi sembrava troppo da sfigata.
-No, aspetta… Come ti chiami di cognome? Ti aggiungo su Facebook!
Glielo dico, sciogliendomi in un sorriso da vera babbea. Poi, aggiungo:
-Non sapevo che anche gli anziani fossero su Facebook!!
Lui scoppia in una fragorosa risata. Me ne vado, scuotendo la mia folta chioma riccia, convinta di averlo conquistato, e che finalmente avrò una relazione con un uomo maturo.

Sarebbe bello, penso.

Sarebbe STATO bello…. se mai mi avesse aggiunta sul dannatissimo Facebook.