Bollettino della persona di merda / Mia nonna è Rocky Balboa

Cari lettori,

quanto silenzio su questo blog negli ultimi tempi. Quante cose non ho raccontato, quante ho preferito lasciare al non detto, quante non aveva senso scrivere, in mancanza di ispirazione. Sono dell’idea che uno scrittore (o meglio, per quanto mi riguarda, persona-che-cerca-di-mettere-due-parole-di-senso-compiuto-in-fila) debba accingersi a questo compito soltanto se le condizioni, interiori ed esteriori, sono proficue. Almeno per me, digitare qualcosa sulla tastiera, o mettermi a scrivere lettere a destinatari immaginari, è un processo liberatorio, ed ispirato. Senza scendere nei dettagli, come avrete potuto immaginare, le ultime settimane (mesi, forse) non sono stati particolarmente generosi con la mia vena artistica, e spesso e volentieri il mio dissidio interiore è stato tale, che avevo paura che metterlo nero su bianco avrebbe avuto conseguenze disastrose per la mia psiche.

Però, senza scadere nel tragico (che, nel mio caso, è quasi sempre tragicomico), eccomi qui, con la mia bozza di blog, ad annoiarvi di nuovo un po’ con la mia vita che ricorda sempre più la famosa legge di Murphy. Giuro, un giorno scriverò un libro, e ci metterò nomi e cognomi anche, e mi beccherò delle querele, ma, come si dice dalle mie parti, fottesega, ché sarà pur vero che “se qualcosa deve andar male, lo farà”, ma il mio cammino in questo mondo è costellato da talmente tanti stronzi che non posso immaginare che non siano, anche solo in minima parte, responsabili della gran parte delle mie sfighe cosmiche.

Perché certo, mi fa piacere che ogni tanto mi venga detto che mi merito di più delle situazioni insidiose in cui mi piace (o mi capita) di mettermi, però davvero, vi sfido, provate per un giorno, una settimana, o un mese, a essere me, e poi mi direte se non avrete pensato ad un complotto karmico nei vostri confronti.

Ma, per tornare a parlare di argomenti più terreni, o come a qualcuno piace definirli, “quelle cose che scrivi nel tuo blog che van bene per la cronaca rosa” (qualcuno l’ha detto davvero, anche se forse non in questi termini), le ultime vicende di questa giostra che è la mia vita mi hanno ovviamente portato a interrogarmi sui massimi sistemi e quindi ad altrettanto ovvie generalizzazioni. Ma, tant’è, le scrivo lo stesso.

Per ricollegarmi agli “stronzi” che gravitano intorno alla mia orbita, negli ultimi tempi ho preso coscienza del fatto che appunto, se buona parte della mia sfiga è solo S F I G A, un contributo di certo lo danno anche loro. Ah, e con stronzi (quante volte ho detto già stronzi?) non intendo soltanto uomini, ma comprendo tutte le persone di merda di ogni sesso età e colore che si possano incontrare sul proprio cammino. Però per la maggior parte uomini. Sì. Ecco qui di seguito una simpatica fenomenologia.

La persona di merda lascia che versi lacrime amare sulla sua spalla

La persona di merda è paladina della chiarezza

La persona di merda è single

La persona di merda ti scrive delle lettere

La persona di merda ti fa delle promesse

La persona di merda non ti tradisce

La persona di merda ti ascolta volentieri

La persona di merda non si prende i tuoi scarti

La persona di merda non è egocentrica

La persona di merda ti richiama

La persona di merda ti risponde

La persona di merda ti accoglie nel proprio letto

La persona di merda ha bisogno di te

La persona di merda è felice solo se tu sei felice

La persona di merda non ti farebbe mai del male volontariamente

La persona di merda non ti illude

La persona di merda non va a letto con un’altra

La persona di merda è così simpatica

La persona di merda è così carina

La persona di merda ti invita fino a Londra, pensa te!

La persona di merda ti mette a tuo agio

La persona di merda nutre profondo interesse per le cose che dici

La persona di merda non scompare nel nulla

La persona di merda sembra proprio che questa volta non sia una persona di merda

La persona di merda, in realtà, non è affatto una persona di merda, ma sei tu che la demonizzi, e così facendo penserai che è una persona di merda. Già. E mia nonna è Rocky Balboa.

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Bollettino della corsa / You can suck it

Ho sempre odiato andare a correre per una serie di fattori. No, forse c’è stato un unico momento in cui non mi dispiaceva, ma ero giovane e il mio corpo ancora sano. Dal liceo in avanti, ogni volta che il professore di ginnastica di turno, all’arrivo della bella stagione, ci faceva andare a fare jogging al Valentino, avrei preferito impiccarmi alla spalliera con un laccio delle scarpe da ginnastica, piuttosto che seguire quella manica di pazzi atleti e perdere mezzo polmone ogni volta.

Lo sport in senso lato non mi risulta particolarmente gravoso, da brava bambina-stereotipo ho provato la danza classica, jazz e hip-hop, successivamente il tennis – occasione in cui ho scoperto di non possedere assolutamente quell’abilità chiamata coordinazione mano-occhio: in due anni di sbattimento il lunedì pomeriggio avrò colpito la pallina – in dritto – due volte, rimettendoci pure una caviglia tentando di fare una volée a rete. Poi è stata la volta del pattinaggio artistico, passione maturata dopo i giochi olimpici di Torino 2006. Ero… bravina, dai, anche se chi mi conosce certamente non mi definirebbe come una persona leggiadra. 

Con l’università è anche diminuito il mio tempo libero e così mi sono iscritta alla palestra sotto casa, per andarci, molto diligentemente, almeno due volte la settimana. Dopo un anno di pausa dovuto all’Erasmus, durante il quale ho persino avuto una violenta lite con una mia amica che mi esortava ad andare a fare jogging invece di rimpinzarmi di biscotti al burro tutto il giorno (mi sono molto offesa), ho ricominciato ad andare ai corsi di fitness, quelli carini dove si fanno gli esercizi a tempo con la musica – non zumba, eh. Zumba è per i poppanti. 

Tutto sto preambolo per dire che lunedì – chissà cosa ho visto – sono andata a correre per la prima volta di mia spontanea volontà. E pure stamattina. E sono ancora viva! Questo mi rincuora. Ho sempre pensato di avere degli impedimenti fisici alla corsa – le sigarette, un peso non indifferente nella parte anteriore del corpo, causa di imbarazzo quando si tratta di saltellare qua e là – eppure ce l’ho fatta. Mi son messa le scarpe da ginnastica, una fascia ben stretta, una maglietta, e sono arrivata semi indenne alla fine della corsa. 

Questo episodio mi fa riflettere. Insomma, è sempre stata una cosa che credevo impossibile, eppure mi è bastata un minimo di forza di volontà per affrontarla e un po’ – un bel po’ – di sforzo per portarla a termine. Eppure l’ho portata a termine. Mi stavo sottovalutando? Sono sempre stata troppo pigra anche solo per poter pensare di andare a correre? O forse posso traslare la mia determinazione anche ad ambiti dove pensavo non si potesse applicare? O forse avevo bisogno di riscoprire la mia determinazione, negli ultimi tempi effettivamente un po’ sopita? 

Forse ogni tanto non abbiamo un po’ tutti bisogno di sentire che possiamo darci un obiettivo e raggiungerlo? Che siamo più forti dei nostri preconcetti e delle nostre paranoie? Che, se vogliamo davvero una cosa, la otterremo? Ma non esattamente quando la vogliamo noi, bensì in un momento casuale della vita, quando non ci stiamo pensando?

Perché, effettivamente, da 23 anni a questa parte non me ne è mai fregato nulla di andare a correre. Non sono anni che mi preparo alla maratona. Avrei potuto benissimo vivere senza. Però, da qualche profondità del mio inconscio, un bel giorno la scorsa settimana si è manifestata questa nuova sfida, questo nuovo obiettivo da cercare di raggiungere, e senza pensarci troppo, mi sono data una possibilità. Che questo meccanismo non funzioni soltanto per la corsa? Può darsi che ad un certo punto della nostra vita decidiamo di affrontare qualcosa di assolutamente estraneo e ostile soltanto per la soddisfazione di avere successo? O forse avevamo semplicemente sopravvalutato l’ostacolo? 

Non credo di avere le risposte giuste, non credo ci siano risposte giuste. Penso solo che ogni tanto tutti dovremmo – in qualunque ambito della vita – darci una possibilità, superare quell’ostacolo che è lì, lo sappiamo, non ci interessa neanche molto perché tanto è insuperabile, e invece, guarda?, ce la sto facendo. Sto parlando di università, lavoro, amore, amicizia e quant’altro. Come la corsa. Dovremmo pensare e dire più spesso qualcosa tipo: ehi, stronzi che credevate che non finissi gli esami, guardate, mi sto laureando! Oppure: ehi coglioni, guardate chi si è laureato in lettere e avevate detto che sarebbe morto di fame e invece ha trovato un lavoro? Oppure: ehi, testa di merda che mi hai spezzato il cuore, guarda, ho affrontato il tuo fantasma e sono sopravvissuta and you can suck it!

Insomma, raga, andate a correre e ogni tanto alzate quel medio. Non fa male per niente.

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Bollettino della primavera / Il Principe azzurro è gay

Amici, amiche, lettori conosciuti e sconosciuti. Latito da un po’, lo so. Ho avuto delle settimane impegnative, che per quanto impegnative non mi hanno dato nessuno spunto per scrivere qualcosa che potesse interessare (oltre me) anche il resto del mondo. Non che oggi sia particolarmente ispirata, però comincio a scrivere ché non si sa mai.

Ero in macchina prima, tornando a casa ho sbagliato un paio di svolte (vivo a Torino da quando sono nata e riesco ancora a sbagliare le svolte, va beh) e ho allungato il percorso di almeno un quarto d’ora, senza contare che erano le sei, orario di punta nella nostra metropoli tentacolare. Ho attaccato l’iPod allo stereo e ho messo su la playlist “All time favourites” e sono partiti gli Alt-j.

She may contain the urge to run away 
But hold her down with soggy clothes and breeze blocks…

Sto attraversando la Dora, c’è un macello indescrivibile, ma alzo il volume al massimo e comincio a dondolare la testa e a canticchiare. Questa canzone mi porta lontano, a più di un anno fa, quando ho scoperto gli Alt-j e ho cominciato ad ascoltare loro e pochi altri, nella mia stanzetta di un metro per un metro in Inghilterra. Il semaforo è eterno. Ci penso spesso, ultimamente, a quando ero via, dato che se tutto va  come deve andare, tra sei mesi me ne sarò di nuovo partita alla volta del paese più piovoso dell’Europa. Sbaglio la famosa svolta e finisco al fondo di corso Regina.

‘Til morning comes… Mmmmh let’s tessellate

Che poi mi i testi degli Alt-j han veramente poco senso. Comunque sono al fondo di corso Regina, mi giro verso il Po e vedo la città in fiore. Mentre giro su corso Moncalieri e prendo un po’ di velocità, del maledetto polline entra dal finestrino e finisce dritto nel mio naso. Però la primavera è la mia stagione. Secondo me bisogna diffidare delle persone che preferiscono l’inverno alla primavera. Come si fa? Dico è la mia stagione perché ogni suono, ogni odore, ogni colore che vedo riapre un qualche cassetto della memoria chiuso da tempo e il ricordo mi avvolge, un po’ come quando Harry Potter si butta nel Pensatoio.

This is for, this is for… This is for Matilda

In un attimo ecco la primavera dei miei 18 anni. Andavo al liceo, mi piaceva studiare, ma anche andare a prendere i caffè in centro con le amiche, fumando sigarette, sempre facendo attenzione a non incontrare nessuno che conoscessimo, per non essere “sgamate”. All’epoca frequentavo un ragazzo che mi piaceva un sacco e che mia mamma chiamava “il tuo amichetto”. Mi scriveva messaggi dal tono poetico e mi portava a spasso al Valentino. Devo dire che il Valentino è un must per le coppiette, però è stato il mio primo Valentino romantico, e non è che ci andassi spesso, solo quando ero piccola a giocare. Comunque, strano a dirsi, il tizio in questione dopo un paio di mesi è poi scomparso nel nulla cosmico. STRANO!

Get high, hit the floor before you go, 
Matador, estocado, you’re my blood sport 

La primavera del primo anno di università invece era stata epica. Per il mio compleanno le mie amiche mi avevano portato in collina a mangiare torta e bere birra, la qual cosa combinata col sole cocente sulla testa non ci aveva fatto esattamente bene. Ricordo perfettamente il momento in cui scoprivo che il regalo dei miei genitori era la bicicletta e mi mettevo a piangere perché non la volevo. Bel caratterino. Poi quella bici è diventata il simbolo della mia libertà, della mia indipendenza, della mia crescita. Dopo quella primavera (e quell’estate) finalmente non ero più una ragazzina. Il che non è così figo come sempre. Però quella primavera avevo un’amica in più e il cuore pieno di fiori e buoni sentimenti (successivamente l’amica è rimasta ma il cuore è stato strappato a morsi da un brutto cane a tre teste comunemente chiamato Amore).

Forty eight thousand seeds, please, send rose, for my memories of you

La scorsa primavera praticamente non la ricordo. Tornata da poco dopo sei mesi fuori di casa, il primo periodo è stato duro e – strano a dirsi per me – i ricordi sono sfocati e mescolati tutti insieme. Pazzesco come il nostro cervello (o chi per lui) cerchi di eliminare le tracce dei brutti pensieri e dei momenti di smarrimento. Mi piace pensare che cerchi di preservarci dal peggio. Credo che un sostrato di dolore rimanga impresso da qualche parte, sepolto ma pronto a salvarci quando stiamo per fare qualcosa di azzardato o quando le cose continuano ad andare per il verso sbagliato. Secondo me riveste le pareti di quel famoso posto in cui “più in fondo di così, c’è solo da scavare”.

She makes the sound, the sound the sea makes to calm me down. 

Oh, sono arrivata a casa. La macchina è piena di polline. Questo mi riporta al presente e alla primavera appena incominciata. In questi giorni mi sento amata. No, non ho trovato il Principe Azzurro. Quello non esiste e se esiste è fidanzato con un’altra – o gay. Da un giorno ho ventitré anni e ho passato il compleanno circondata da persone a cui voglio bene e che mi vogliono bene. E sono incredibilmente tante. Oddio, detta così potrebbe suonar antipatica. Però sapere che esiste gente che mi apprezza e mi festeggia e mi canta tanti auguri e mi regala qualcosa e mi cucina la parmigiana e mi prepara la torta, questo mi fa sentire amata. 

Mentre metto la macchina in garage parte una canzone che fa:

It’s ok I just wanna clap my hands
It’s ok I just wanna fuck your friends

Raga whattttttttttttt?! Cioè stamattina ho detto a qualcuno che la società è maschilista perché ci sono 14 sinonimi della parola “zoccola” e poi sta tizia canta che si vuole scopare gli amici di qualcuno?! Tesoro fallo, ma fallo con discrezione.Immagine

Bollettino da Warwick / The Best Of

Un anno fa, esattamente un anno fa, il 16 marzo 2013, a quest’ora, ero appena tornata a Torino dopo sei mesi di Erasmus in Inghilterra, nella ridente regione delle West Midlands, all’università di Warwick. Un anno. Un dannatissimo anno è passato da allora. E ancora di più, se la matematica non è un’opinione, da quando sono partita, una mattina di fine settembre, uscendo da casa cacciando a stento indietro le lacrime, con il groppo in gola. Lacrime che, ovviamente, la notte tra il 15 e il 16 marzo non ho trattenuto, complice anche una festa di addio degna di un vero addio Erasmus. 

In quei sei mesi ho vissuto e respirato indipendenza, nuove amicizie, osservato un mondo nuovo ed estraneo con occhi ogni tanto curiosi, ogni tanto perplessi, ogni tanto sconvolti. E ho preso nota.

Qui, per voi, in esclusiva, per commemorare questa ricorrenza (mi piacciono tanto le ricorrenze), una selezione  dei migliori “Bollettini da Warwick”, i miei contatti con il mondo esterno e l’ispirazione per questo blog. Buona lettura!

 

25 settembre 2012

Sono arrivata! Sto bene! Ho attaccato il computer alla rete e mi sento una boss. Ora sono le 18:20 e dovrei già essere a cena. Il dormitorio sembra l’albergo di Shining e stanotte non mi stupirei di trovare le gemelle indemoniate in corridoio. Nella camera davanti alla mia c’è una turca che ha già decorato la camera mentre la mia è tristissima. Ora vado a darmi una sistemata perché ovviamente mi sono spuntati 15 brufoli. Ciao da Warwick

 

27 settembre 2012

Bollettino da Warwick.
Tutto sempre bene. La sedia della scrivania non ha le ruote e qui in camera c’è una moquette inquietante quindi l’ho appena ribaltata. Sono tornata da poco da una bella serata in campus in cui ho scoperto che tutti gli amici che mi sono fatta vivranno FUORI dal campus quindi li vedrò raramente, mentre qui nel mio block c’è un simpatico ragazzo di Singapore che, parlando in un inglese stentato, mi ha detto: “My name is Yaowezeghuyaterghu but you can call me Xeanhdytiromghuuergxechan”. Contaci. Ah, sono anche appena andata a far pipì con le infradito e le calze. In questo posto fa un freddo fottuto. Buonanotte da Warwick

 

28 settembre 2012

Bollettino da Warwick. (so che lo aspettate, amici miei)
Oggi:
1) ho scoperto come far arrivare il computer fino al letto ma stanotte nel sonno mi impiccherò con il cavo di rete
2) sono andata al supermercato con i miei amici per comprare della Vodka e ci siamo ritrovati in una cucina del campus con del simil-bacardi breezer perché non abbiamo letto la scritta che campeggiava sul davanti della bottiglia, e non contenti alla cassa abbiamo deriso gli inglesi per vendere l’alcool a 2.79 pounds
3) sono stata letteralmente trascinata dagli spagnoli in un’altra cucina del campus per un after-party da cui mi sono defilata senza farmi vedere perché apparentemente per loro andare a dormire alle due è come per noi… mangiare la pasta come contorno (mi vengono in mente questi orribili paragoni culinari perché sto mangiando cose che voi umani non potete neanche immaginare)
4) ho visto il sole per la prima e forse ultima volta
5) ho scoperto che ora su youtube mi appaiono solo pubblicità inglesi e sono gasata
That’s it for tonight. Ah, commentare le foto delle finlandesi con “Otta sei la più calda” non so quanto sia una buona idea.

 

29 settembre 2012

Bollettino da Warwick.
Ieri sono andata a fare la spesa per la prima volta. Dopo un buon 15 minuti di cammino finalmente giungo da Tesco con la mia amica Michela, prendo un carrello e via nelle immense corsie del più scrauso supermercato inglese. La cosa che ho capito è che bisogna stare attenti perché c’è sempre qualcosa marchiato Tesco che costa meno di una sterlina… Alla fine di tutto però erano rimaste soltanto le padelle più care (15 pounds, stiamo scherzando?!) così ho mollato al supermercato pollo e hamburger e pure le carote che non si devono cucinare per forza ma non avevo voglia di pelarle, e me ne sono tornata a casa con mozzarella, feta, insalata, pomodori, mele, kiwi, cif… Arrivata poi a casa, sono andata nella common kitchen e ho posato tutto nel frigo, con tanto di post-it con scritto “Ottavia’s”. Beh. Peccato che quello non fosse il frigo. Sti furboni di inglesi mi hanno messo in cucina un frigo e un freezer della stessa dimensione differenziati soltanto da un mini affare con segnata la temperatura in alto a destra, che io non ho visto perché troppo bassa. Così alle 8 stamattina sono andata a tirare fuori la roba dal freezer. Ora sono andata a controllare. L’acquetta della mozzarella di Tesco ha una consistenza a dir poco inquietante.
Oggi vado da Ikea. Non oso immaginare cosa mi succederà.

 

30 settembre 2012

Bollettino da Warwick.
Amici, se sono qui che vi scrivo, evidentemente sono sopravvissuta all’avventura da Ikea.
Prima di dirigermi verso la destinazione tuttavia ho pranzato davanti al pc con la mozzarella aliena e gli unici tre pomodori sopravvissuti al Disgelo. Che cuore.
Dopo un lunghissimo tragitto in pullman finalmente si giunge nella ridente Coventry, che come ben saprete nel 1940 è stata bombardata a stecca, e quindi gli edifici sono di quel bello stile dopoguerresco di cui non vi sto a descrivere la poeticità. Nel bel mezzo di Coventry campeggia il più grosso Ikea che i miei occhi abbiano mai visto. Nel dubbio prima di cominciare a comprare ingurgito un piatto di polpette svedesi e patatine, così sono sicura di essere carica per lo shopping…
Comprate un paio di cazzate ci dirigiamo verso il supermercato e tutti insieme compriamo il necessaire per una cena all together a Coventry dai nostri amici off-campus (cioè tutti gli amici). Ovviamente, tornando a casa a piedi per risparmiare sul biglietto del bus (che brutta vita), la Vodka sfonda il sacchetto e va a schiantarsi al suolo rompendosi in mille pezzi. Credo che qualcuno stia cercando di dirci qualcosa. E’ un po’ come “Final Destination”, ogni volta che la compriamo qualcosa va storto. Vodka Destination insomma. (in questo caso, il grigio pavimento di un sottopassaggio).
Beh, ora vado a dormire contenta, circondata da un disordine ai massimi storici. Ma se non altro ho il mio tappetino e le mie grucce e la mia padella che tengono alto il livello di raffinatezza.

 

8 ottobre 2012

Oggi volevo comprarmi dei leggings a fiori che però mi turbano per due motivi:
1) ce li ha pure quella zoccola maleducata della mia vicina di stanza inglese che quando passa nemmeno saluta. D’accordo, al mattino ho gli occhiali e un pigiama orrendo, magari non sono la prima cosa che vuole vedere, ma cazzo “Hi” è una sillaba sola.
2) ho paura di sembrare, a scelta, una tenda, una tovaglia, una copertina di quaderno delle elementari, o più semplicemente una che si è comprata dei leggings senza pensare che i fiorellini della fantasia una volta aderenti al suo culo potrebbero facilmente sembrare piante carnivore della dimensione di un baobab

 

11 ottobre 2012

-Ciao! Come ti chiami?
-Ciao, mi chiamo Ottavia, piacere!
-Come?
-Ottavia. *scandisco la parola come se parlassi a un sordo*
-Octavia? Come il mese? October?
-No, no. Ottavia come Ou-double T-ei-vi-ai-ei.
-Ah, cool! Ottavia! *L’inglese di turno pronuncia il mio nome come la vocina di Google translate*
-Sì, più o meno. Se ti sembra più facile puoi chiamarmi Otta!
-Ahahahah, come l’animale!!!
-Quale animale?!
-OTTER! (pronunciato effettivamente “otta”, significa otaria), hahahahaha! *l’inglese di turno si scassa due ore da solo mentre io lo guardo interdetta*
No, no, no e no. Non ci siamo. Se la gente comincia a chiamarmi Otaria pure da queste parti sto messa malissimo.

 

14 ottobre 2012

Caro amico cinese che condividi con me la cucina, spero che quei noodles con la soia che stai risucchiando emettendo versi da far accapponare la pelle ti rimangano tutti nel gozzo e che ti strozzi. Che schifo cazzo.

 

20 ottobre 2012

Bollettino da Warwick. Queste vengono al pub con tacchi vertiginosi e minigonne inguinali. Poi tu, italiana con le camper e i leggings, vai in bagno e scopri che pisciano con la porta aperta. #sentirsi un gradino sopra nonostante tutto

 

20 ottobre 2012

Ciliegina sulla torta da Warwick.
Torno a casa come tutte le sere, non vedo l’ora di infilarmi sotto il piumino perché fuori fa un freddo porco. Apro la porta d’ingresso, salgo un piano di scale e mi appresto a percorrere l’ormai famoso corridoio in stile Shining. La mia camera è l’ultima in fondo al corridoio. Alzo lo sguardo e vedo, laggiù, nei pressi della mia porta, la sagoma di un ragazzo. Mi avvicino guardinga. Appena riesco a mettere a fuoco, realizzo che è bagnato fradicio e letteralmente pieno di vomito. Tutti i pantaloni sporchi. Si tocca nelle tasche in cerca di qualcosa. Gli chiedo se va tutto bene, e lui mi risponde che teme di aver perso le chiavi. Ok gli dico, ma quello è lo stanzino delle pulizie, non penso tu possa entrarci, manco avessi le chiavi. Ah, mi fa lui, giusto, allora camera mia è questa qua. E si piazza davanti alla mia porta. No, guarda, qui ci vivo io. No, sono sicuro, mi fa, la mia stanza è l’ultima a destra. No, no. Questa è camera mia e tu hai bisogno di rinfrescarti le idee, vai con Dio. Thanks, mi dice, good night.
Good night STA MINCHIA, fresher* dei miei cojoni, ringrazia che non ti abbia vomitato addosso pure io quando ho sentito l’odore che emanavi e visto i pezzi della tua cena sui tuoi pantaloni.
*studente del primo anno, tipicamente inglese, che si ammazza d’alcool come se non ci fosse un domani

 

24 ottobre 2012

Un dolce risveglio da Warwick.
Ieri sera sono andata a dormire presto, stanca morta, ma felice, consapevole che il mercoledì la mia prima e unica lezione è all’1, e posso dormire quanto mi pare, rimandare la sveglia anche 10 volte, se voglio. Mentre mi crogiolo in questi pensieri durante la notte, sognando chissà cosa, vengo svegliata da un rumore assordante, una sirena. Cazzo. L’allarme anti incendio. Giuro che se è uno stronzo che ha bruciato i toast… No, no, Ottavia. E’ l’ESERCITAZIONE. Sono le 7 e 30 e questi luridi bastardi ti stanno facendo fare l’esercitazione.
Mi infilo i pantaloni della tuta e il cappotto, gli occhiali e il cappuccio (potete immaginare che bel fighino), chiudo la porta e via giù dalle scale, incontrando i responsabili di questa congiura vestiti coi giubbottini gialli quelli che tieni in macchina, trattenendomi dall’istinto di sfoderare il mio repertorio di insulti in lingua inglese. C’è chi sta messo peggio però, vedo gente scalza camminare sul viale di cemento bagnato. (Amori miei però scalzi, ecco, cioè, un minuto ci vuole a mettersi le scarpe).
Ma non è finita qui. Uno potrebbe pensare che ci siano già abbastanza elementi per definire questa mattina una merda, ma forse non si ricorda che io sono la prova più schiacciante che la legge di Murphy funziona. Torno davanti alla porta di camera mia, cerco le chiavi in tasca e…
Ce n’è solo metà. Metà chiave. L’altra minchia di metà si è persa durante l’esercitazione. Ma no, ecco qualcosa che sfavilla sulla moquette… Fanculo. Fan-culo.
Se la giornata è iniziata così non oso immaginare come potrà finire.

 

25 ottobre 2012

Essere testimone di un gruppetto di indiani che cucina pasta al pesto è come… È come… Essere testimone oculare di un omicidio e non poter fare niente per impedirlo

 

9 novembre 2012

Bollettino da Warwick.
Un tizio è appena entrato in camera mia. Immaginatevi. Io al computer sento la porta che si apre come nei peggiori film dell’orrore e vedo un tizio che avanza convinto verso di me, per poi esclamare “Oh god I’m soooo sorry!”, mentre io mi metto le mani in faccia e dico “You scared me to death!”. Lui, come se nulla fosse, se ne va. Per fortuna non mi stavo scaccolando. Non che lo faccia abitualmente, ma è per rendere l’idea.

 

21 novembre 2012

Non realizzi quanto ti manca il bagno di casa tua fino a quando, un martedì sera a mezzanotte e cinquantuno, guardando Inglorious Bastards, non ti scappa talmente tanto la pipì da dover alzarti dal letto dove stai vegetando da ore e percorrere lo stretto corridoio guardando fisso la moquette e ripetendo nella testa una preghiera a qualsivoglia divinità: fa’-che-non-mi-veda-nessuno-cazzo-ho-le-infradito-e-le-calze-ti-prego-non-farmi-incontrare-nessuno-giuro-mi-scappa-ci-metto-poco-fa’-che-non-mi-veda-nessuno

 

17 gennaio 2013

Bollettino da Warwick (quanto l’avete aspettato, eh?)
Tornare non è facile come sembra. Quando sono atterrata all’aeroporto di Caselle, il 12 dicembre, con il mio amico Totò, mi sono guardata in giro in cerca dei miei genitori, e ho intravisto uno degli amici del mio compagno di viaggio, ex erasmus a Warwick, che, interpretando il mio sguardo, mi ha detto: “Tranquilla, tra poco ci torni”. Ci aveva visto bene. Ero spaesata, chissà quante cose sarebbero state diverse. Molte effettivamente lo sono state…
Ecco, però ora sono di nuovo qui, nella mia cameretta che ora in quanto a decorazioni non ha nulla da invidiare a quella di nessuno. Poster, foto, copriletto coi fiorellini, il mio amico Tasso. Quando si è lontani da casa è di vitale importanza sapersi creare i propri angoli di vita, e questo buco in cui mi trovo… è il mio posto, ora.
Le lezioni sono ricominciate, ma durante le vacanze non ho fatto una ceppa. Ergo, quando per la prima volta vado al mio seminar di letteratura inglese si parla di un nuovo libro il cui protagonista si chiama Moses, e io penso che la gente stia parlando di Mosè della Bibbia. Quando realizzo che forse stavo male interpretando la situazione, mi chiudo in un silenzio autistico e mi limito ad annuire alle affermazioni non troppo brillanti dei miei compagni.
Anche le serate in discoteca non si sono fatte aspettare. Ieri sera per esempio sono andata a ballare e ho notato con piacere che le cose, qui nello UK, non cambiano mai. E’ salita in pullman una tizia, capello biondo platino, accompagnata dallo sbavatore di turno, e non vi sto a dire che outfit sfoggiava. Vestitino inguinale con gambe nude cellulitiche. Si vedevano anche le chiappe. Non scherzo. Sapete la parte finale della chiappa che poi diventa gamba? Sì, dove c’è la piega. Ecco, era proprio lì in bella vista per uno schifato pubblico di ragazzi Erasmus che poverini ancora non si capacitano di queste sozzerie. Poi, siamo finiti in questa discoteca… posto carino, niente da dire. Ma. C’è un ma. Puzzava. Di vomito. Ovunque. No, beh. Il bagno delle ragazze puzzava di merda. Cosa che posso anche capire perché a stare in coda, venti minuti al gelo svestite può ben essere causa di attacchi di sciolta per le nostre poco coperte ragazze inglesi. Ma poi perché tutto il club puzzava di vomito? Ma forse mi inganno, era RedBull. Bevanda che a mio parere puzza di vomito, quindi forse il mistero è svelato.
Oggi sono andata a fare la spesa con il trolley perché trasportare i sacchetti dal supermercato a casa è un’impresa che solo pochi eletti riescono a compiere senza slogarsi una spalla. Tornata a casa mi sono cucinata un fantastico piatto di polpette al sugo accompagnate da riso basmati… Manco a Masterchef. Carlo Cracco, vieni a Warwick!
Dopo questa pagina di vita quotidiana, direi che è giunta l’ora di mettermi sotto le coperte e riposare le mie stanche ossa. Sì, perché stanotte sono andata a dormire alle cinque e alle dieci la signora delle pulize ha pensato bene, con tutta la grazia che contraddistingue queste simpatiche donne delle West Midlands, di bussare alla porta della mia dirimpettaia e chiederle qualcosa a voce altissima, svegliando anche me, che dormivo della grossa… però per fortuna durante la notte i miei polmoni, nonostante il trattamento a cui li ho sottoposti ieri sera, erano ancora al loro posto. Mi calo una bustina di Oki e il mondo mi sorride. Here I am, Warwick!

 

27 gennaio 2013

Poi ci sono quelle domeniche mattine in cui ti svegli sullo sbocchevole andante e te ne vai in cucina a cercare di ingurgitare qualcosa per ricacciare indietro qualsiasi reflusso malefico E C’È UN CAZZO DI CINESE CHE FRIGGE ROBA NON MEGLIO IDENTIFICATA. Ora vomito

 

7 febbraio 2013

Cara mia professoressa di Letteratura Inglese che vieni dall’India. Io ti stimo. Hai messo i Sex Pistols e i Beatles e stai dando lezione a dei pischelli inglesi. Gliela fai vedere eh a questi amici della regina, eh? Sei una gaggia.
Però… PERCHÉ GLI INDIANI NON POSSONO PARLARE NORMALMENTE? ORA GLI PISCIATE IN TESTA AGLI INGLESI MA NON POTETE IMPARARE BENE L’ACCENTO E SMETTERLA DI PARLARE COME APU DEI SIMPSON? Sono a lezione da mezz’ora e le uniche parole che ho capito sono state quelle delle canzoni dei Sex Pistols e dei Beatles…

 

1 marzo 2013

Ok insomma, è quasi la fine dell’Erasmus, quindi spesso, durante la giornata, capita di pensare alle cose che ti mancheranno e alle cose che invece non vedi l’ora di rifare. La perla di saggezza del giorno è: non vedo l’ora di tornare a casa per potermi sedere su un cesso senza doverlo imbottire di carta igienica per paura di prendermi qualche strana malattia da qualche sconosciuto. Voglio solo sedermi su un gabinetto senza aver paura che qualche corpo estraneo possa attaccarmi. Per non parlare di quanti alberi in Amazzonia posso tornare finalmente a salvare.
Della serie: attenta che ti è caduta la corona
Stay tuned per prossimi episodi di: Gli Ultimi Bollettini da Warwick

 

3 marzo 2013

Che poi no, qui oltre Manica pare che nessuna ragazza abbia i capelli ricci. Se ti metti a cercare prodotti specifici per capelli ricci, quello che trovi invece sono shampi secchi (ma di millecinquecento tipi, che dico, farsi la doccia con uno shampo normale è out?), gel, lacche e extension secondo le migliori tradizioni Geordie-Shore-istiche. Ma io dico, ve lo ricordate o no che l’Inglese più figa della nostra generazione, quella cresciuta con tutti noi nei libri e nei cinema e che da brutto anatroccolo è diventata calda come il fuego (sì, lei, Hermione Granger/Emma Watson) c’aveva i capelli ricci?!? Non che io da brutto anatroccolo sia diventata calda come il fuego, ma insomma, non è che se vi piastrate i capelli siete più fighe.

 

16 marzo 2013

Forse per il signore di fianco a me sul pullman che mi sta conducendo alla fine dell’esperienza della vita il fatto che io abbia la musica nelle orecchie non è un segnale abbastanza chiaro del fatto che NON HO NESSUNA CAZZO DI VOGLIA DI PARLARE

 

 

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Bollettino da Celle / Cosa direbbero i muri se potessero parlare

Prendi la Torino-Savona, al fondo (quando vedi il cartello: La Verdemare ARRIVEDERCI) esci in direzione Genova, ti butti sulla Genova-Ventimiglia cercando di non farti risucchiare da un Tir, esci ad Albissola – già, non sono mai uscita veramente a Celle – arrivi all’Aurelia, giri a sinistra, fai un paio di chilometri finché dalla strada a strapiombo sul mare non scorgi un porticciolo – il Ciccio – e una sfilza di case colorate sulla spiaggia: sei arrivato.

Guarda le casette, rosa gialle verdi rosse, il mare di quell’azzurro-verde vicino alla riva ma blu più al largo. D’estate ombrelloni colorati e boe che segnano le distanze, barche e canoe. Fuori stagione una distesa di sabbia grigia, portata da chissà dove, il molo con quegli scogli appuntiti. Le piastrelle quadrate del lungomare, dove ogni bambino che si rispetti si è sbucciato le ginocchia andando in bici, le palme, le cabine bianche, i bar e le seggiole, donne e bambini in ogni dove, con palline di gelato blu un po’ sul cono e un po’ addosso.

Senti il rumore del mare, le onde che si infrangono incessantemente sul bagnasciuga, lasciati cullare. Ascolta i gabbiani che starnazzano e il campanile della chiesa dei frati che suona ogni mezz’ora, alle tre e mezza don don don diiiin – quest’ultimo un po’ più acuto dei precedenti. Senti il vociare confuso delle persone, risate di bambini e le urla dei ragazzini adolescenti che vogliono fare i grandi; parole indefinite dei vecchietti mentre giocano a briscola, pigia, pigia! vuol dire prendi!

Togliti le scarpe e cammina sulla sabbia. D’estate è quasi impossibile senza ustionarsi ma ora, prima della primavera, affondaci i piedi. Vai fino in riva e mettili nell’acqua, è così gelata che non senti più le dita, esprimi un desiderio, quello delle prime volte. Sdraiati sui sassi e lasciati scaldare la pelle dal sole. Senti quell’aria che viene dal mare e respirala a pieni polmoni. Abbraccia gli amici – quelli che non vedi mai e con cui ti diverti sempre.

Senti l’odore dalla passeggiata. Il profumo di mare corre nel vicolo e si mescola a quello della focaccia appena sfornata; mille persone aspettano pazientemente il loro pezzo di paradiso in terra, e tu con loro. Sul mare i ristoranti già cucinano pesce. Addenta quel fritto di calamari con una spruzzatina di limone che ti fa pensare che non vuoi niente altro dalla vita se non stare lì, a mangiare, per sempre.

E poi… lascia che Celle entri dentro di te. Celle Ligure, sì, quel posto in provincia di Savona dove la tua famiglia va al mare da generazioni. Ah, se solo i muri di quel paese potessero parlare… ma questa è un’altra storia.

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Bollettino della cena in casa Olivero / Una sitcom

Spesso mi è capitato di pensare che alcuni momenti delle cene svoltesi in casa Olivero fossero degni di apparire in una puntata di una qualche sit-com divertente, di quella con le risate pre-registrate in sottofondo, perché davvero, si rasentano dei livelli di demenza rari.

In questo breve ma intenso bollettino racconterò la cena di stasera.

Siamo tutti seduti intorno alla tavola imbandita, la mamma ha fatto il bollito (più piemontesi di così si muore) e le patate con quella pentola speciale per cuocere le patate che le fa venire un po’ bruciacchiate.

Credo mia madre si sia messa in testa che è giunto il momento di passarmi i suoi segreti culinari, o se non altro qualche dritta, perché a suo dire quando lei si sposò non era capace manco a fare un uovo ma aveva spesso osservato sua madre cucinare e mettendosi d’impegno riuscì a combinare qualcosa.

Mamma dice con tono didattico: Ecco Otta, guarda, questo pezzo di bollito, per quando poi te lo farai da sola, si chiama “muscolo”.

Io: Ok, muscolo, ricevuto.

Mia sorella tredicenne sbuffa sarcasticamente: Pfff, ma da sola quando mai? E poi secondo te si farà il bollito?

Mamma: Beh perché no?

Io: Già, perché no? Un giorno vivrò da sola e magari avrò dei figli a cui fare il bollito.

Mia sorella alza gli occhi al cielo, cinica. Poi ci ripensa: Magari conoscerai qualcuno di carino in Inghilterra!

Io: Magari sì, ma non è che me lo devo sposare.

Mia sorella: Beh. E’ pur sempre un inizio.

Rincuorata dalla fiducia che pure mia sorella nutre nei confronti della mia abilità nelle relazioni amorose, mi getto nel bollito e nella maionese. Lei poi inizia a raccontare della gita di classe a cui non ha partecipato ma di cui ovviamente le sue amiche le hanno fornito ogni dettaglio.

Mia sorella: …e poi la prof non voleva che le femmine dopo cena andassero in camera dei maschi!

Mamma: Beh non è del t…

Mia sorella: Ma non a dormire eh!

Io: Ma ci manca solo che maschi e femmine dormano in camere miste a 13 anni! Cosa credi, anche al liceo durante le gite si sta in camere separate.

Mia sorella, seccata: Sì ma io dico a chiacchierare! Dopo cena! La prof ha detto alle femmine che se andavano in camera dei maschi rimanevano incinte.

Mio padre sputa quello che stava mangiando. Mio fratello arrossisce di colpo.

Papà: Come scusa?

Mamma: Beh non avrà detto proprio così.

Io e mio fratello sghignazziamo.

Mia sorella: Beh la prof ha detto: “Non voglio nessun incidente” mimando la pancia con le mani.

Io: Beh in tal caso la prof è una gran cafona.

Mia madre, a cui piace esagerare: Sarebbe da denuncia!

Io: Beh da denuncia, un attimo, neanche io mi fiderei a mandare quella combriccola di ragazzine in camera dei maschi a 13 anni. E’ inappropriato.

Tra me e me penso che se mai diventerò una professoressa, sarò una gran rompi coglioni.

La cena è quasi alla fine, ma i momenti migliori sono quelli in cui la mamma smette di mangiare e finalmente osserva mio padre e trova qualcosa per cui rimproverarlo. Papà taglia un pezzo di burro, lo spalma sul pane e se lo ficca in bocca.

Mamma, fortissimo: NO, NO, NO! RAGAZZI! FATE QUALCOSA!

Io: Tanto lo fa sempre.

Papà: Zitta tu che hai mangiato più di me.

Io: Sì ma io non sono grassa come te.

Papà: Pfui.

Io: Non sono grassa! Mamma digli qualcosa!

Mamma: Cosa vuoi che gli dica, Ottavia. Poi guarda sono giorni che gli dico di tagliarsi la barba e lui non se la taglia. Ma non ti guardi mai in uno specchio? Non ti guardi mai e pensi ‘che barba lunga’ e te la tagli?

Papà: Senti, se non ti piace guarda da un’altra parte.

Mamma: No, io guardo proprio la tua barba.

Papà: Non puoi guardare un po’ tua figlia visto che è tanto magra?

Mamma: Ma tu sei mio marito! Mica ho sposato mia figlia!!

Nonsense su nonsense.

Io: Dai, basta. Papà vai a prendere la frutta. Per me un’arancia.

Mamma: Anche io arancia.

Mio fratello (un ragazzone di anni 21 appena compiuti) si mette a canticchiare: Arancia, limone, mandarino….

Sempre più nonsense.

Mio padre fa il gestaccio. Poi però si alza e va a prendere la frutta. Tornando in casa, si siede e dice: Fuck this shit.

THE END.

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Bollettino domenicale / Racconto di un weekend ricco di spunti

Questo articolo contiene fatti e termini volgari. Si sconsiglia la lettura ad un pubblico sensibile.

Mi fanno male i muscoli. Tutti i muscoli. Venerdì ho avuto la bella idea di andare in palestra ad un corso che si chiama TRX, che detto così sembra il nome di un bruttissimo esame da fare in ospedale, e invece consiste nel fare sollevamenti e piegamenti utilizzando delle specie di cinghie appese al soffitto con annesse maniglie a cui ci si appende e si fa forza con il proprio peso corporeo. Una passeggiata, insomma. Quelli che frequentano questo corso sono dei tizi muscolosissimi che si mettono pure dei guanti apposta per non farsi male alle mani nell’usare quell’aggeggio malefico. Davanti allo specchio, mani nelle cinghie, gli energumeni, l’allenatrice (che non scherza in quanto a potenza fisica) e io: grondante di sudore e con in faccia dipinti il dolore e la disperazione e il timore che la tortura durerà per sempre. Ma è finita. E oggi è domenica. E io ancora non riesco a muovere propriamente la parte superiore del mio corpo.

Volevo farmi la pasta con le melanzane ma sono andata in balcone a prendere le melanzane ed erano marce. Ripiegherò su un’ottima insalata di pollo. Poi mi butterò sotto la doccia con la playlist “Songs to sing in the shower” di Spotify che mi ha già regalato parecchie emozioni sulle note di Don’t Stop Believing dei Journey e That Don’t Impress Me Much di Shania Twain che canto sempre mettendoci anche molta interpretazione, perché mi immagino di essere lei con quella specie di accappatoio leopardato e di incontrare qualcuno dell’interminabile lista di piciu il cui destino purtroppo si è incrociato con il mio soltanto per dire ammiccando: “Oh, so you’re Brad Pitt? That don’t impress me much!”

Ieri sera mentre ritorno a casa – tardi – in macchina passo disgraziatamente davanti ad un locale tamarrissimo. I tarri stanno tornando a casa e si riversano in strada come mucche al pascolo. Pure mentre passo io, seppure a velocità moderata, questi non si preoccupano del rischio che corrono e attraversano la strada. Da pilota molto prudente freno e li faccio passare. Si gira verso di me un tizio coi capelli sparati in aria col gel (sì, c’è gente che ancora si mette il gel in testa) e mi fa dei gesti poco chiari ma quasi sicuramente a sfondo sessuale. Io da brava diplomatica che sono alzo il dito medio. Il branco è offeso. Arriva un amico del tarro-capelli-in-piedi, questo credo avesse invece i capelli raccolti in una coda. Si piazza di schiena davanti alla mia macchina, si abbassa pantaloni e mutande in un sol colpo e mi fa vedere il culo. Peloso. Sono ancora sconvolta.

Ma ieri sera sono successe cose che forse mi hanno colpito ancora di più. Un minimo di contesto: locale non esattamente in centro città, concerto di gente mai vista, ma sono esperienze che faccio sempre volentieri. Ad aprire i veri ospiti della serata, un rapper/freestyler/beatboxer che dir si voglia, che per l’ultimo pezzo decide di improvvisare delle rime su una ragazza scelta a caso dal pubblico.

“Bella raga, ora mi serve una ragazza che si offra volontaria per il prossimo pezzo”.

Sono in prima fila. Maledico il giorno in cui sono nata senza il potere dell’invisibilità.

“Beh se nessuna tipa si fa avanti… tu – indicando un ragazzo – scegline una per me, che sia figa eh!”

Il tizio si volta verso di me. “Beh, figa più o meno, però scelgo lei”.

Partiamo già molto male. Salgo sul palco, il cantante mi fa un po’ di domande sulla mia vita e comincia a rappare. Della canzone ricordo soltanto che una rima c’entrava con me che andavo in bicicletta senza sella e un’altra sul suo uccello che diventava duro. Va bene.

Poi, e qui secondo me arriva il meglio, conosco miss Torino (nome di fantasia). A concerto finito si fa un po’ di caciara e ci si mette a chiacchierare coi componenti del gruppo. Miss Torino è li che chiacchiera con uno ed è all’attacco, la vedo. E’ effettivamente abbastanza gnocca, biondina, mediamente alta, occhi verdi e un bel sorriso. Evidentemente, però, si sente minacciata dalla mia presenza, e vuole marcare il territorio. Comincia a chiedermi che cosa faccio, che serate frequento e chi conosco. Io rispondo molto candidamente a tutte le sue domande, rilanciando ogni tanto ed esclamando dei “Dai, ma lo conosci anche tu?” più falsi delle borse che il caro Ibrahim vende sulle spiagge di Celle da decenni. Comunque, credo che miss Torino ad un certo punto si sia preoccupata di una mia conoscenza, per altro molto superficiale, che io ho millantato come decennale soltanto per farle perdere le staffe.

“Ah e quindi conosci ***…?”

“Sì certo. Lo vedo sempre alle serate e insomma ci scassiamo”

“Ah”. Miss Torino è combattuta, ma sa che me lo deve chiedere.

“Te lo sei scopato?”

Allibita, mi trattengo dal risponderle con il mio ormai usuale:

e, molto pacatamente, rispondo:

“No cara. Io non vado a letto con certa gente”.

Miss Torino abbassa lo sguardo, perché evidentemente lei sì. Poverina, mi fa un po’ tenerezza, sarà anche abbastanza cotta di asteriscoasteriscoasterisco, e avrà voluto sincerarsi della di lui fedeltà. Mentre parlavo con miss Torino comunque sono giunta alla conclusione che in questa città non basta neanche più andare a letto con la gente fika per essere fiki. Lo status di fika lo devi pure difendere strenuamente, coprendoti di ridicolo nell’andare a chiedere a una perfetta sconosciuta se il tipo fiko che si è infilato nelle tue mutande si è infilato anche nelle sue. Com’è dura la vita della gente giusta. Per fortuna che il tizio del pubblico ha detto che sono “figa più o meno”. Non potrei sopportare tutta quella pressione.

Xoxo

Otta

PS. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale.

Bollettino di San Valentino / C’ho il dente avvelenato

San Valentino. Sono single. Vi dirò che, fondamentalmente, fottesega. Sì, oggi ho deciso di essere sboccata e di dire quello che penso. Perché in realtà il fatto di essere single non mi pesa (provare per credere: se ve lo siete persi leggete qui), o meglio non mi pesa oggi più che in altri giorni. Però oggi, in questo giorno dedicato agli amanti e in cui il povero Jacques Prevert si starà probabilmente rivoltando nella tomba sapendo che le sue parole d’amore vengono consumate su Facebook con una facilità disarmante, da persone che Prevert chi?, oggi, dicevo, ho deciso che voglio togliermi un po’ di sassolini dalle scarpe. Che poi molti più che sassolini sono scogli. Per dire, eh. Probabilmente molti di voi leggendo questo post penseranno all’ennesimo sfogo di una poverina inacidita dalle simpatiche circostanze della sua vita ma come già detto prima, non m’importa un fico. Oggi voglio augurare un buon San Valentino a tutti gli innamorati che se lo meritano (o quasi).

Buon San Valentino a te che mi hai detto: “In questo momento non me la sento di essere COSì impegnato”.

Buon San Valentino pure a te che pensi che scomparire faccia di te un mago.

Buon San Valentino a te con cui una volta uscivo e a cui scrivi messaggi ammiccanti senza preoccuparti di accennare al fatto di essere nuovamente impegnato.

Buon San Valentino a voi che siete una coppia perfetta però lui – ahimè – non si fa problemi a pomiciare a San Salvario mentre tu sei in un altro continente.

Buon San Valentino a te che la mattina mi prepari il caffè e mi dici “ci sentiamo” e poi ti mancano le parole per dire che sei fidanzato.

Buon San Valentino soprattutto alla ragazza del sopracitato che poverina temo non passi dalle porte, e i cioccolatini può appenderseli alle corna a mo’ di albero di Natale.

Buon San Valentino infine a voi due, la cui storia immagino vada avanti tra rose e fiori, peccato però sia nata dalla merda dato che per iniziarla avete calpestato la mia dignità e il mio buon cuore per gettarlo in pasto ai condor.

Buon San Valentino insomma a tutti gli ipocriti che si oggi scambiano tenerezze, perché se esiste il Karma state pur tranquilli che non vi risparmierà.

PS: A tutti i veri innamorati, invece (e un po’ li conosco davvero, per fortuna) godetevi la giornata, vi invidio un pochetto, ma non ditelo in giro.

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Bollettino dei corpi celesti che brillano di luce propria / Una fiaba

Penelope subisce una strana attrazione da parte del cielo stellato da quando ne ha memoria. Se pensa agli anni della sua infanzia, vede se stessa guardare in alto, durante le notti senza nuvole, a cercare di tirare linee immaginarie tra tutte le stelle del cielo. Ricorda persino la prima volta che ha visto la Via Lattea, una notte di San Lorenzo, in montagna.

Nessun lampione in giro. Sdraiati nell’erba. Nasi all’insù. Ed ecco l’infinito universo sopra la sua testa stagliarsi, immenso, irraggiungibile. Ed eccola, quella striscia più densa, correre da un capo all’altro del cielo nero. Penelope chiede mamma che cos’è e mamma risponde la via lattea tesoro. Tutti stanno così a pancia all’aria per vedere le stelle cadenti che poi stelle non sono ed affidare a quelle cose lontane tutti i desideri nascosti nel cuore. Eccone una l’ho vista! grida quell’impiastro di suo fratello. Penelope si gira di scatto per cercare di vedere anche lei nella stessa direzione, vuole esprimere un desiderio, ma quella è già svanita portandosi via i sogni di un altro. Allora Penelope dice tutti zitti – con il suo fare prepotente – voglio vedere le stelle. Paziente fissa gli occhi nel cielo e in quella Via Lattea che ha appena imparato e finalmente vede una coda di luce tagliare la notte a metà. Penelope grida a bocca chiusa tutti i desideri di bambina e li lancia con mano invisibile alla sua stella fidata prima che scompaia per sempre.

Penelope col tempo – a dirla tutta, con l’adolescenza – comincia a pensare al suo cielo stellato in modo romantico, quando guarda fuori dal finestrino della macchina e gli astri corrono e stanno fermi allo stesso tempo e i pensieri si affollano in testa e chissà se anche tu vedi lo stesso cielo che vedo io, se le stelle sono uguali anche per te, se ti seguono e sono immobili insieme. Forse Penelope è troppo sentimentale, forse è colpa del suo nome di donna protagonista di un mito in cui paziente una moglie fa e disfa una tela in attesa di un marito infedele. Penelope cresce e nelle notti in cui le stelle piovono dal cielo fiduciosa sciorina ai poveri asteroidi sempre scambiati per qualcosa che non sono tutti i suoi più intimi e sciocchi pensieri e sentimenti – fa’ che si innamori fa’ che si innamori fa’ che si innamori e così avanti potrei elencare per pagine e pagine, anche se tutti lo sappiamo si tratta sempre e solo d’amore.

Penelope cresce e diventa una donna, viaggia e visita diversi paesi e non si dimentica mai quando in giro non c’è troppa luce di alzare lo sguardo verso il suo cielo nero condito di stelle. Prova e riprova a cercar costellazioni ma di quello non è mai stata capace. Per lei le stelle non sono disegni che un qualche astrologo un giorno si è inventato, ognuna di esse custodisce i suoi desideri e ognuna di esse potrebbe essere allo stesso tempo guardata da altri milioni di persone e questo la fa sentire al centro dell’universo e allo stesso tempo piccola come un pezzo di plancton.

Penelope ogni tanto cerca di spiegare agli amici o agli innamorati cosa significa per lei fissare quell’infinito ammasso di piccole luci ma le persone non capiscono o forse non vogliono capire fissate come sono indissolubilmente al suolo coi piedi piantati nella loro terra così razionale, senza sorprese.

Penelope un giorno – meglio, una notte – è seduta sul terrazzo con addosso il giubbotto e guarda per aria aspirando boccate di fumo dalla sigaretta che tiene tra indice e medio della mano destra. Ne segue la scia su verso il cielo e riconosce le solite stelle che la stanno a guardare. D’un tratto un soffio di vento sparpaglia le foglie nel viale di sotto e fa cadere la sigaretta dalle sue dita. Penelope un po’ scocciata si alza e decide di tornare in casa ma quando muove un passo qualcosa la ferma. Si volta e sembra tutto normale, a parte il fatto che le stelle paiono più luminose. Si sporge dal parapetto e nota che i lampioni per strada sono spenti. Strano a quest’ora pensa Penelope sarà andata via la luce – ma io me ne vado a dormire. Un fruscio però nuovamente la distrae e si mette in ascolto. Penelope, Penelope… si sente chiamare come in un sussurro lontano. Penelope… 

Penelope si sporge di nuovo e sente irrefrenabile il desiderio di scavalcare quel parapetto – non per buttarsi, ma per seguire quella voce che la chiama insistente. Sembrerà folle ma proprio mentre si siede su quella ringhiera rischiando di rompersi l’osso del collo – ecco che viene avvolta da una brezza brumosa e si ritrova a camminare per aria – sì, cammina, nell’aria – attraverso quel cielo nello che per l’ennesima volta stava osservando da lontano. 

Penelope cara -le dice una stella- noi lo vediamo, sai, tutte le volte che ti fermi a guardare verso questo buio infinito in cerca di un lumicino. 

Allora –risponde Penelope – sapete tutto di me.

Certo sappiamo -le dice quell’altra- tutti i tuoi desideri e sentiamo ogni battito del tuo cuore.

E perché sono qui?

Per la tua devozione l’universo ha deciso di far avverare tutti quei desideri che da quando sei bambina ci hai consegnato. Come avrai già da tempo capito, quella di esprimere desideri quando si vede una stella cadente è una semplice moda sulla Terra, essi non si avverano mai – o quasi. Questa notte Penelope vedrai i tuoi desideri avverarsi e finalmente la vita sorriderti. Guarda: là c’è Alfa Centauri che custodisce il tuo sogno di avere un fidanzato che tanto ti ami. Va’ da lei e quello che desideri avrai. Laggiù, poi, Sirio ti sta salutando: lui custodisce il tuo desiderio di avere successo nella vita. Va’ da lui e quello che desideri avrai. Di fianco a Sirio -vedi?- fa capolino Vega, grazie alla quale potrai comprarti quella casa a Manhattan ed essere bella come le star del cinemaUn po’ più in là, guarda, Antares! Lei garantisce la salute e la prosperità a tutti quelli che ami. Quella, mi chiedi? È Righel, lei sì ti concederà di avere la meglio su chi tanto ti ha fatto penare. Allora Penelope, cosa ne pensi? Si può dire in questo momento che sei la persona più fortunata dell’intero Universo.

Penelope guarda le stelle e la sua vita perfetta e sente un brivido al pensiero di essere solo a tanto così d poterla toccare. Poi lo sguardo le cade più in basso, tra le luci della città. Tra esse più luminosa quella della stanza che non ha spento prima del rapimento stellare. Ma allora… allora in quella notte d’inverno è come se l’universo buio fosse la città e i lumicini le lampade accese dietro le finestre. Cambiando punto di vista tutto sembra più chiaro.

Penelope dice alla Stella Polare che ancora non aveva finito di illustrarle il suo splendente futuro: Non posso, mi dispiace. Non posso lasciare quell’universo lì sotto e neanche tutte quelle luci che contano su di me. Non posso né per il fidanzato perfetto né per il successo né per Manhattan né per una vita senza difetti e senza malattie… Non posso capite? Senz’altro vi porterò sempre con me e sempre vi guarderò e voi mai cambierete e mai mi ascolterete, ma io continuerò a recitare i miei desideri in fila e un giorno sarò io a farli avverare. Non posso lasciare quello che c’è qui sotto perché anche se è tutto storto e confuso e imperfetto e a volte doloroso io vi appartengo e non posso, non voglio scappare. Tutte quelle notti a esprimere desideri puntualmente delusi, ecco proprio il fatto che fossero puntualmente delusi e che io abbia continuato a esprimerli da quando ero bambina senza perdere mai la speranza, questo mi ha resa capace di vivere su questo pianeta così difficile e stupido e difettoso e ingiusto. Ma sarò io a occuparmi di renderlo – come posso – migliore. Grazie, io torno giù.

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Bollettino dell’anno nuovo / Buoni propositi in musica

Così come il 23 Dicembre già avevo pubblicato il mio strappalacrime bollettino di Natale, così il 30 Dicembre allieterò i miei lettori, con ben due giorni di anticipo, con la lista dei miei buoni propositi per il 2014 – anche perché probabilmente nei due giorni successivi alla serata del 31 non sarò esattamente brillante. Siccome ne sto leggendo già parecchie (e devo dire tutte divertenti) ho deciso di stilare la lista delle mie promesse, scegliendo per ciascuna una canzone tra quelle che hanno segnato il mio 2013.

Crederci. Continuare a essere testarda, anche a costo di amare e perdere. Perché, e hanno ragione i Lumineers (anche se forse qui stonano un po’), è meglio soffrire che non provare nulla… L’opposto dell’amore è l’indifferenza. Non perdere, nonostante le delusioni, la voglia di essere travolta dai sentimenti. Ecco, travolta, non investita. Quindi va bene buttarsi nel precipizio, ma senza sfracellarsi le ossa nella caduta. Non ogni volta, almeno.

Avere un’altra occasione di ascoltare questa canzone con qualcuno, al buio.

Vivere, vivere tutto quello che capita, e raccontarlo, scriverlo, cantarlo, ballarlo.

“Whatever comes through the door I’ll see it face to face”. Nel 2014 voglio essere motivo di buon umore e serenità per chi avrà bisogno di me.

Essere più spensierata.

Smettere di prendersi bene per una canzone per poi scoprire che non ha nessun senso. Però il cantante è figo quindi ciao.

Rassegnarmi al fatto che “Irrésistiblement amoureuse c’est emmerdant / Irrésistiblement emmerdeuse c’est amusant”

Smetterla di fare quella che conosce i rapper inglesi e ammettere che in realtà sono solo tarra.

Tenere accese più luci possibili.

Essere FORTE.

Non necessariamente stare alzata tutta la notte per avere fortuna, però in un certo senso applicarmi perché essere positiva aiuti l’universo a essere positivo con me. Karma mode on.

Filosofia di vita. Questo elenco di buoni propositi puzza sempre più di fiera dei buoni sentimenti, però… nel 2014 vorrei non lasciarmi sfuggire nessuna buona occasione (e che nessuna buona occasione lasci sfuggire me, sempre per restare in tema).

Cercare di convincermi che se “2013, in mano alcolici e niente piùùùùùù”, nel 2014 non varrà esattamente lo stesso principio. Però aspetta… anche duemilaquattordICI fa rima con alc– ok basta.

Buon anno a tutti! Festeggiate e divertitevi, senza pensieri, per un giorno. Io lo farò. Perché so già, che nonostante i buoni propositi, il 2014 mi stupirà con l’evidente e dolorosa applicazione della legge di Murphy (che, oltre alle leggi fisiche, regola ogni giorno la mia esistenza) quando meno me lo aspetto, e che, in ogni caso, sarà un anno tutt’altro che facile. Ma non mi preoccupo. Il 2013 è stato una buona palestra.